Symphonia Ecclesiæ: un percorso storico
«Qui mortem nostram moriendo destruxit, et vitam resurgendo reparavit.
Quapropter, profusis paschalibus gaudiis,
totus in orbe terrarum mundus exsultat.
Sed et supernae virtutes atque angelicae potestates
hymnum gloriae tuae concinunt, sine fine dicentes:
Sanctus, Sanctus, Sanctus…»
(Præfatio paschalis I)
La Liturgia delle Ore prende le sue mosse come preghiera oraria di tutta la Chiesa e dell’intero popolo di Dio. Già, dopo il periodo sub-apostolico, gli “inni mattutini e vespertini” – come venivano chiamate le Lodi mattutine e il Vespro – divengono, in Oriente e in Occidente, un’istituzione molto popolare seguita ogni giorno da un gran numero di persone. Le celebrazioni erano presiedute, già nell’epoca costantiniana, dal Vescovo, alla presenza di preti, diaconi e laici, facendo largo uso della musica, di una solenne ritualità e con la partecipazione del popolo di Dio attraverso semplici ritornelli durante il canto dei salmi. A. Baumstrak lo definisce ufficio cattedrale, per distinguerlo dall’ufficio monastico che andrà sviluppandosi nei monasteri. La celebrazione delle Ore fu infatti estesa anche alle chiese non cattedrali, soprattutto negli ambienti più raffinati dei monasteri, attraverso un culto più complesso e ricco derivato per “amplificazione” e “arricchimento” da quello episcopale-cattedrale (e non viceversa!). Questa distinzione tra ufficio cattedrale e ufficio monastico si delineò definitivamente dal IV-V secolo e restò immutata fino ai nostri giorni. Alle origini dell’ufficio cattedrale era forte la preoccupazione relativa alla partecipazione dei fedeli e pertanto venivano eseguiti salmi sempre uguali, che potevano essere memorizzati. Le due riunioni fondamentali di preghiera erano al mattino e alla sera. Talvolta, nelle grandi feste, il popolo di Dio era convocato per celebrare delle vigiliæ, spesso nelle feste dei martiri presso le loro tombe. Tali veglie seguivano la preghiera del Vespro, dando solennità al lucernario, il gesto di accendere le lampade o un grande cero al tramonto del sole.
Il Medioevo si caratterizzò per due scelte fondamentali: il passaggio dalla preghiera oraria della Chiesa a una preghiera che viene via via riservata ai monaci o al clero secolare per deputazione. Da ciò deriverà la necessità di redigere un compendio “sintetico” (soprattutto a partire dal basso Medioevo, a Roma, per il clero secolare o curiale) della preghiera delle Ore: un breviarium. Questo processo giungerà fino alla compilazione, dopo il Concilio Tridentino, del Breviarium Romanum. Anche se teoricamente la preghiera quotidiana della Liturgia delle Ore resta preghiera di tutta la Chiesa, nella pratica effettiva la spiritualità la riduce a essere preghiera dei sacerdoti o dei monaci, ciascuno secondo la particolarità proprie. Nonostante i molteplici processi di riforma del Breviarium che seguirono al Tridentino, la situazione rimase tale fino alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, quando l’Ufficio si riappropriò – almeno nel suo statuto teologico – della vocazione di preghiera pubblica e comune della Chiesa tutta.
Oggi vanno tenuti presenti alcuni tratti del Magistero, che affermano la dimensione ecclesiale della Liturgia delle Ore fondandola sull’esercizio del sacerdozio comune dei fedeli.
DALLA COSTITUZIONE SULLA SACRA LITURGIA SACROSANCTUM CONCILIUM DEL CONCILIO VATICANO II — CAPITOLO I — II. NECESSITÀ DI PROMUOVERE L’EDUCAZIONE LITURGICA E LA PARTECIPAZIONE ATTIVA
14. È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, « stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato » (1 Pt 2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia. Essa infatti è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d’anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un’adeguata formazione.
Capitolo IV – L’ufficio divino opera di Cristo e della Chiesa
83. Cristo Gesù, il sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza, prendendo la natura umana, ha introdotto in questo esilio terrestre quell’ inno che viene eternamente cantato nelle dimore celesti Egli unisce a sé tutta l’umanità e se l’associa nell’elevare questo divino canto di lode. Cristo continua ad esercitare questa funzione sacerdotale per mezzo della sua Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione dell’eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente recitando l’ufficio divino.
84. Il divino ufficio, secondo la tradizione cristiana, è strutturato in modo da santificare tutto il corso del giorno e della notte per mezzo della lode divina. Quando poi a celebrare debitamente quel mirabile canto di lode sono i sacerdoti o altri a ciò deputati per istituzione della Chiesa, o anche i fedeli che pregano insieme col sacerdote secondo le forme approvate, allora è veramente la voce della sposa che parla allo sposo, anzi è la preghiera che Cristo unito al suo corpo eleva al Padre.
85. Tutti coloro pertanto che recitano questa preghiera adempiono da una parte l’obbligo proprio della Chiesa, e dall’altra partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, lodando il Signore, stanno davanti al trono di Dio in nome della madre Chiesa.
La recita comunitaria dell’ufficio divino
99. Poiché l’ufficio divino è la voce della Chiesa, ossia di tutto il corpo mistico che loda pubblicamente Dio, è raccomandabile che i chierici non obbligati al coro, e specialmente i sacerdoti che vivono o che si trovano insieme, recitino in comune almeno qualche parte dell’ufficio divino. Tutti coloro, poi, che recitano l’ufficio, sia in coro sia in comune, compiano il dovere loro affidato il più perfettamente possibile, sia quanto alla devozione interiore, sia quanto alla realizzazione esteriore. È bene inoltre che, secondo l’opportunità, l’ufficio in coro e in comune sia cantato.
La partecipazione dei fedeli all’ufficio divino
100. Procurino i pastori d’anime che, nelle domeniche e feste più solenni, le ore principali, specialmente i vespri, siano celebrate in chiesa con partecipazione comune. Si raccomanda che anche i laici recitino l’ufficio divino o con i sacerdoti, o riuniti tra loro, e anche da soli.
DALLA COSTITUZIONE APOSTOLICA LAUDIS CANTICUM DI PAOLO VI PP., CON LA QUALE SI PROMULGA L’UFFICIO DIVINO RINNOVATO A NORMA DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
Come richiedeva la Costituzione Sacrosanctum Concilium, fu tenuto conto delle condizioni in cui si trovano in questo nostro tempo i sacerdoti impegnati in attività pastorali. L’Ufficio è stato disposto e ordinato in modo tale che essendo preghiera di tutto il popolo di Dio, possano prendervi parte non solo i chierici, ma anche i religiosi, anzi gli stessi laici. L’introduzione di svariate forme di celebrazione rende ora la Liturgia delle Ore adattabile a persone di cultura a livelli diversi, dando la possibilità ad ognuno di adeguarla alla propria condizione e vocazione. Rinnovata dunque e restaurata completamente la preghiera della santa Chiesa secondo la sua antichissima tradizione, e tenuto conto delle necessità del nostro tempo, è davvero auspicabile che essa pervada profondamente, ravvivi, guidi ed esprima tutta la preghiera cristiana e alimenti efficacemente la vita spirituale del popolo di Dio. Il libro della Liturgia delle Ore, distribuito nel tempo giusto, la sostiene [la Chiesa], e la favorisce, mentre la stessa celebrazione, soprattutto quando una comunità si raduna a questo scopo, esprime la vera natura della Chiesa orante, e risplende come suo segno meraviglioso. La preghiera cristiana è anzitutto implorazione di tutta la famiglia umana, che Cristo associa a se stesso, nel senso che ognuno partecipa a questa preghiera, che è propria dell’intero corpo. Questa perciò esprime la voce della diletta Sposa di Cristo, i desideri e i voti di tutto il popolo cristiano, le suppliche e le implorazioni per le necessità di tutti gli uomini. Soprattutto la preghiera dei salmi, che senza interruzione accompagna e proclama l’azione di Dio nella storia della salvezza, deve essere compresa con rinnovato amore dal popolo di Dio. Perché sia raggiunto più facilmente questo scopo è necessario che il significato inteso dalla Chiesa quando canta i salmi nella liturgia, sia studiato più assiduamente dal clero e sia comunicato anche ai fedeli mediante opportuna catechesi. La stessa recita dell’Ufficio deve adattarsi, per quanto è possibile, alle necessità di una preghiera viva e personale, poiché, come è previsto in Principi e Norme, si possono scegliere i tempi, i modi e le forme di celebrazione che meglio rispondono alle condizioni spirituali degli oranti. Che, se la preghiera dell’Ufficio divino diviene preghiera personale, più evidenti appariranno anche quei legami che uniscono tra di loro la Liturgia e tutta la vita cristiana. L’intera vita dei fedeli, infatti, attraverso le singole ore del giorno e della notte, è quasi una leitourgia, mediante la quale essi si dedicano in servizio di amore a Dio e agli uomini, aderendo all’azione di Cristo che con la sua dimora tra noi e con l’offerta di se stesso, ha santificato la vita di tutti gli uomini. Questa sublime verità del tutto inerente alla vita cristiana, la Liturgia delle Ore la esprime con evidenza e la conferma in maniera efficace. È per questa ragione che le preghiere delle Ore vengono proposte a tutti i fedeli, anche a coloro che non sono tenuti per legge a recitarle.
DALL’INSITUTIO GENERALIS LITURGIA HORARUM (PRINCIPI E NORME PER LA LITURGIA DELLE ORE) — CAPITOLO I – IMPORTANZA DELLA LITURGIA DELLE ORE O UFFICIO DIVINO NELLA VITA DELLA CHIESA
1. La preghiera pubblica e comune del popolo di Dio è giustamente ritenuta tra i principali compiti della Chiesa. Per questo sin dall’inizio i battezzati «erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera» (At 2, 42). Più volte gli Atti degli Apostoli attestano la preghiera unanime della comunità cristiana.
Le testimonianze della Chiesa primitiva attestano che anche i singoli fedeli, in ore determinate, attendevano alla preghiera. In seguito, in varie regioni, si diffuse la consuetudine di destinare tempi particolari alla preghiera comune, come, per esempio, l’ultima ora del giorno, quando si fa sera e si accende la lucerna, oppure la prima ora, quando la notte, al sorgere del sole, volge al termine.
15. Nella Liturgia delle Ore la Chiesa, esercitando l’ufficio sacerdotale del suo Capo, offre a Dio «incessantemente», il sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome. Questa preghiera è «la voce della stessa Sposa che parla allo Sposo, anzi è la preghiera che Cristo, unito al suo Corpo, eleva al Padre». «Tutti coloro, pertanto, che compiono questa preghiera, adempiono da una parte l’obbligo proprio della Chiesa e dall’altra partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, celebrando le lodi di Dio, stanno dinanzi al suo trono a nome della Madre Chiesa».
Culmine e fonte dell’azione pastorale
18. Coloro che partecipano alla Liturgia delle Ore danno incremento al popolo di Dio in virtù di una misteriosa fecondità apostolica; il lavoro apostolico, infatti, è ordinato «a che tutti, diventati figli di Dio, mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore». Vivendo in tal modo i fedeli esprimono e manifestano agli altri «il mistero di Cristo e la genuina natura della Chiesa, che ha la caratteristica di essere… visibile, ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina».