Invitando alla preghiera per l’unità dei cristiani, la Chiesa ci ricorda che “ogni ecumenismo è battesimale”, cioè attratto e suscitato dalla Pasqua del Signore. Il dialogo ecumenico è un modo straordinario per uscire dalle visuali ristrette, riscoprendo per esempio come l’approccio dei fratelli orientali al mistero della Trinità santa sia ancora quello dei Padri della Chiesa, meravigliati e adoranti di fronte alla sublimità di Dio. Dall’interpretazione della Scrittura (“anima della teologia”, affermava il Concilio Vaticano II) alla liturgia o all’ecclesiologia, la loro logica spirituale è rasserenata rispetto all’assillo di trovare soluzioni pratiche alle difficoltà, mentre spesso noi ne siamo pastoralmente strozzati. L’Oriente ha mantenuto un’ispirazione dall’alto, lo slancio del guardare a Dio e alla sua grandezza (e anche alla sua infinita “synkatabasis”, la “condiscendenza” con cui si è chinato sulle piccolezze del cosmo), al fatto che egli è tre-volte-Santo sempre e comunque. “Quando Dio è sceso fino a noi – scriveva un autore siriaco del IX secolo – la terra è diventata cielo, e quando il Figlio del nostro genere è stato elevato in alto, il cielo è diventato terra. Cielo e terra sono dunque una sola realtà”.
Se ci stacchiamo dalla bellezza e grandezza di Dio, rischiamo di scordare che la missione dei cristiani è proprio dare alla società ciò di cui essa manca. In un’epoca di tenebra, guerra, violenze, pensiamo troppo a disegnare strategie, e invece, chissà, se un ragazzo che ha una mezza idea di fare o farsi del male entrasse in chiesa e sentisse il canto gregoriano… forse il suo cuore si ammorbidirebbe.
L’Oriente ha mantenuto una relazione tra Dio e la vita concreta delle persone che non si piega a una declinazione di soluzioni pastorali e punta piuttosto a dare all’uomo l’acqua sorgiva che zampilla per la vita eterna. Quando gli orientali celebrano, hanno davanti non la politica e la società, ma i Cherubini e i Serafini… E questo è solo apparentemente un volare via dal reale.
Gianandrea Di Donna