La prima pagina della Bibbia si apre con un inno alla creazione: una contemplazione poetica che andrebbe cantata. Tutta la Scrittura è ritmata da pause sonore, testi di inni di cui non conosciamo la musica, ma che ci indicano che l’indicibile viene evocato dalla poesia cantata. Un intero libro è dedicato alla raccolta dei Salmi: la Bibbia ebraica titola il Salterio Sefer tehillîm: Libro delle lodi. Questo nome ne sottolinea il contenuto, evidenziando che la lode è il senso fondamentale del Libro. In greco viene chiamato Psalterion, che indica lo strumento a corde utilizzato per accompagnare il canto. I Salmi sono quindi dei canti: limitare questi testi alla lettura li svilisce. Nella Costituzione Apostolica Divino Afflatu, san Pio X affermava: «Una parte ragguardevole della sacra Liturgia e del divino Ufficio, secondo l’uso già accolto nella Legge antica, è costituito da Salmi. Da essi nacque quella “voce della Chiesa” di cui parla Basilio, e la salmodia, “figlia di quella innodia […] che risuona incessantemente davanti al trono di Dio e dell’Agnello”».
Mentre la Torah insegna all’uomo come vivere la fede, i Salmi insegnano la fede attraverso la preghiera e il canto. Il Salterio è un libro teandrico: dal greco Theos – Dio e aner – uomo. Pur essendo scritti da uomini, i Salmi sono ispirati da Dio: è come se Dio ci avesse donato le parole con cui rivolgerci a lui. Nella Messa, il Salmo è la preghiera dell’assemblea che canta a Dio la risposta a quanto ricevuto nella prima lettura. Il testo sacro esige una risposta così alta che non può essere data che con un’altra parola di Dio. Cantare è più di dire: è entrare nel canto stesso che risuona nel cielo eterno. E se non esiste che una sola preghiera, quella di Cristo al Padre, nella quale entriamo grazie al gemito dello Spirito Santo (cfr. Rm 8,26), nella Liturgia delle Ore, sono i Salmi a costruire la preghiera: questi canti che Cristo aveva sulle labbra, ora li offre alla sua Sposa perché si unisca alla sua lode perenne.
Elide Siviero

