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Giubileo dei ministri straordinari della comunione

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GIUBILEO
DEI MINISTRI STRAORDINARI DELLA COMUNIONE
IV ASSEMBLEA DIOCESANA
SABATO 3 MAGGIO 2025
ORE 9:30 – 16:00
OPERA DELLA PROVVIDENZA SANT’ANTONIO
SARMEOLA DI RUBANO

 

Sabato 3 maggio 2025, si celebrerà il GIUBILEO DEI MINISTRI STRAORDINARI DELLA COMUNIONE, che quest’anno coinciderà con la consueta assemblea diocesana. Sarà presente il VESCOVO CLAUDIO e continuerà ad accompagnare la sua Chiesa verso una consapevolezza sempre più matura delle novità proposte dal Sinodo diocesano.

Questo incontro permetterà di ottenere l’indulgenza plenaria, che il Santo Padre concede, per l’Anno santo 2025, a coloro che partecipano a riunioni di tipo spirituale. Le condizioni per ricevere la grazia dell’indulgenza saranno:
– l’ascolto devoto delle meditazioni;
– la celebrazione del sacramento della Penitenza nei giorni immediatamente precedenti o successivi al 3 maggio;
– la celebrazione dell’Eucaristia, ricevendo la Comunione;
– la preghiera per le intenzioni del Santo Padre (ad esempio Pater, Ave e Gloria o qualunque altra preghiera per il Papa approvata dalla Chiesa);
– la recita del Credo.

Il cuore del Giubileo dei Ministri straordinari della Comunione sarà la contemplazione di un segno tanto raccomandato dal Vescovo Claudio: la Comunione portata nelle case a partire dall’Eucaristia domenicale. Esso è stato affidato a Suor Elena Massimi F.M.A., presidente dell’Associazione Professori di Liturgia, come tema della riflessione che vorrà offrire.
Per riporre l’Ostia santa mentre realizzano questo atto di carità verso gli infermi, i Ministri straordinari della Comunione sono soliti servirsi di una piccola teca. Nel corso della Messa pomeridiana, essa verrà benedetta, quasi a voler chiedere al Signore la grazia di favorire con il suo sostegno sempre più la pratica della Comunione domenicale nelle case degli infermi.

 

PROGRAMMA

ore 09:00 Arrivi e accoglienza

ore 09:30 Rev. Monsignor ROBERTO RAVAZZOLO
Direttore dell’Opera della Provvidenza Sant’Antonio
Celebrazione dell’ORA TERZA

ore 10:00 Rev. GIANANDREA DI DONNA
Docente di Liturgia e Responsabile dell’Ufficio diocesano per la Liturgia
« La Comunione nelle case degli infermi. Una storia antica. »

ore 10:30 Rev. ELENA MASSIMI, F.M.A.
Presidente dell’Associazione Professori di Liturgia
« Dall’unico altare alle molte case. Considerazioni liturgico-pastorali. »

ore 11:45 S.E.R. Monsignor CLAUDIO CIPOLLA
Vescovo di Padova
« Il Ministero straordinario della Comunione: un modello per i ministeri battesimali? »

ore 12:15 Tempo per interventi e richieste

ore 12:45 PRANZO AL SACCO secondo le indicazioni che verranno date il giorno stesso
(ognuno procuri per sé cibo e bevanda)

ore 14:30 Rev. GIANANDREA DI DONNA
Responsabile dell’Ufficio per la Liturgia
CELEBRAZIONE EUCARISTICA

ore 16:00 Conclusione

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Celebrare il “mistero grande” dell’amore

 

 

CELEBRARE
IL “MISTERO GRANDE”
DELL’AMORE

 a cura dell’Ufficio per la Liturgia

 

Come Eva fu tratta da Adamo, nel primo giardino della creazione, il sacramento del Matrimonio fa sì che dal nuovo Adamo, Cristo crocifisso e risorto, dal fianco di quello Sposo, esca come oceano incontenibile la nuova Eva. La luce che avvolge gli sposi cristiani non sgorga da loro, ma è nascosta dentro il fianco squarciato del Signore Gesù Cristo. Se nel fulgore della bellezza degli sposi non cogliamo il rimando a colui che ne è l’autore, ci smarriamo. Vederli fedeli, uniti indissolubilmente e fecondi ci permette di riconoscere la nostra origine: noi siamo le nozze di Dio con la creazione. E per questo non si possono fare raccomandazioni di sapore mondano agli sposi, ma bisogna implorarli di una sola cosa: che non escano mai, nella loro esistenza, dal giardino del Crocifisso risuscitato, che restino in quel giardino, perché lì c’è la vita vera. Che non si lascino sedurre dai figli del mondo, ma rimangano ai piedi della croce. Lì è nato il loro Matrimonio, come un frutto dolce, splendente e buono.

 

Il rito delle nozze nella storia

Nell’epoca precostantiniana, il Matrimonio cristiano non prevedeva forme rituali particolari. I fedeli si servivano delle usanze del tempo, consci però del fatto che si sposavano “nel Signore”.

Già a partire dal IV secolo, le Nozze cristiane assumono una struttura più propriamente rituale. In quest’epoca, si registra il dato di grande rilievo di una prima relazione del Matrimonio con l’Eucaristia.

Dall’epoca carolingia in poi, il Matrimonio comincia a essere celebrato davanti alla chiesa, con grande carattere pubblico. Il Rituale Romanum del Concilio di Trento prevede il consenso di fronte al ministro sacro, la benedizione e la consegna dell’anello, e infine la possibilità di celebrare, al termine del rito del Matrimonio, una Missa pro sponsis.

Il Rituale Romano del 1975 e il vigente del 2004 (in maniera ancora più pronunciata) esprimono una radicale novità, riconoscendo e sottolineando la relazione intrinseca che c’è tra Matrimonio ed Eucaristia. Si comincia a parlare infatti de Il Sacramento del Matrimonio durante la Messa, per arrivare, nel 2004, a Il Rito del Matrimonio nella Celebrazione Eucaristica.

 

Matrimonio ed Eucaristia

L’alleanza tra Dio e il suo popolo, manifestatasi pienamente nell’amore di Cristo per la Chiesa, è stata frequentemente descritta attraverso la suggestiva immagine biblica e patristica della sponsalità. Questa relazione tra l’Agnello crocifisso-risorto e la Chiesa-sposa dice come è pensato “in Cristo” il rapporto tra uomo e donna.

Quando, nel 1975, e con maggiore consapevolezza nel 2004, si fa la scelta di celebrare le Nozze cristiane “nella Messa”, non è per offrire una semplice “cornice eucaristica”, né per concedere agli sposi la possibilità di “fare la Comunione dopo il loro Matrimonio” per chiedere a Dio le grazie necessarie. Nelle Nozze cristiane avviene la partecipazione sacramentale degli sposi alle nozze mistiche di Cristo con la Chiesa, al suo “dare la vita” per la “diletta sposa”. Solo per mezzo dell’inserzione nell’amore pasquale del Signore marito e moglie possono evitare di cadere nelle innumerevoli insidie della nostra fragilità. Gli sposi assumono la forma che Cristo ha assunto su di sé, “fino a dare la vita”, “tutta” la vita per amore, ed è la grazia sacramentale a permettere loro di avere la forza di ascoltare la chiamata evangelica a vivere l’uno per l’altro.

L’una caro, l’unità corporeo-sessuale che il sacramento del Matrimonio realizza, ha nell’unione Cristo-Chiesa il fondamento. La Chiesa, infatti, per mezzo del Vangelo e dei sacramenti (specie il sacramentum magnum dell’Iniziazione: Battesimo-Cresima-Eucaristia) diviene concorporea a Cristo.

 

Due modelli rituali

Sulla base della scelta conciliare di porre in stretta relazione Eucaristia e Matrimonio, arrivando a fare dell’Eucaristia stessa il modello ermeneutico del Matrimonio cristiano, gli adattamenti e le novità introdotte nel 2004 donano una maggiore ricchezza alla sua Liturgia. La serietà della riforma sta soprattutto nei due modelli celebrativi proposti: il Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica e il Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola [di Dio], quest’ultimo secondo una duplice articolazione (tra battezzati e tra una parte cristiana e l’altra catecumena o non battezzata).

La scelta di un cambiamento così significativo affonda le radici in importanti motivazioni di ordine pastorale. C’è un numero sempre crescente di coppie di futuri sposi per le quali Cristo, la fede e la Chiesa non sono il centro della loro vita, ma si pongono solo “all’orizzonte”. In ragione di ciò, il rito del 2004 si propone di offrire una “flessibilità liturgica”, che risulti proporzionata alla reale situazione di fede dei nubendi.

Il “Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica” dice una scelta di fede già compiuta. Come conseguenza pastorale e simbolico-rituale, sarà fondamentale far emergere nella celebrazione la “centralità” della Comunione eucaristica sotto le due Specie (Corpo e Sangue) da parte degli sposi quale “simbolo” dell’amore sponsale tra Cristo e la Chiesa, ricevuto in dono e assunto come impegno dell’amore che saranno invitati a vivere.

Il “Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola [di Dio]” è più adeguato a una coppia che si pone in via di rinnovata iniziazione cristiana. Attraverso il linguaggio dei segni, il rito orienta gli sposi verso quella più profonda e consapevole adesione a Cristo e alla Chiesa che ancora non sono in grado di vivere pienamente, facendo emergere la centralità della Parola di Dio come esperienza dell’“ascolto” capace di generare una rinnovata relazione con il Signore. Il vertice simbolico sarà pertanto, anziché la Comunione eucaristica, la consegna ritualizzata della Sacra Scrittura. Non come una specie di “regalo” spirituale, bensì come viatico per il cammino previsto dal loro nuovo stato di vita insieme e simbolo della loro ricerca-ascolto di Dio.

 

Una pastorale nella verità

La scelta del rito è un prezioso atto di libertà. La fatica pastorale che si impone è sollecitare la responsabilità dei nubendi rispetto al tipo di celebrazione, al fine che la intendano come espressione coerente della verità di come vivono. Vanno aiutati a non avere timore di mostrare a quale profondità si collochi la loro appartenenza ecclesiale e a non avere paura di apparire agli occhi di qualcuno come “poco credenti”. È importante che i pastori non temano di usare entrambi i modelli rituali e compito di chi guida gli incontri di preparazione è cercare di far affiorare un’autentica confessio vitæ et fidei dei fidanzati, che faccia da indicatore di direzione.

La presentazione del rito, frequentemente collocata al termine dei percorsi formativi, come coronamento e completamento dell’annuncio cristiano sul Matrimonio, necessita di un ricollocamento. Le diverse possibilità rituali sarebbe opportuno che diventassero la provocazione di avvio, con la quale stimolare la coppia a interrogarsi sul perché della volontà di “sposarsi in chiesa”.

 

Il Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica

Il “Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica” si articola in cinque parti.

 

1. Riti di introduzione

Vengono proposte due forme di accoglienza e ingresso degli sposi. Molto interessante è la prima (la più innovativa), nella quale traspare la teandricità, il carattere divino-umano dei “riti di accoglienza”.

I nubendi attendono con le rispettive famiglie e amici e, presso le porte della chiesa – cioè “fuori” dal luogo sacro, ma anche “nel mondo” –, ri-simbolizzano il loro incontro attraverso una condivisione dello stesso con i loro cari. Gli sposi “uniscono” non solo la propria vita, ma anche la vita, la storia, gli affetti delle rispettive famiglie, degli amici e conoscenti, permettendo che avvenga un “incontro” che, anche se non è certamente il primo cronologicamente parlando, è forse tra i più intensi dal punto di vista simbolico. Questa accoglienza, dal sapore prettamente umano, affettivo, “orizzontale”, si va a intersecare con l’accoglienza che Dio riserva agli sposi, manifestata e ritualizzata dalla presenza e dal saluto cordiale del ministro ordinato alle porte della chiesa. La coppia è accolta da Dio nella propria casa, perché egli faccia dei due una cosa sola e la loro esistenza e la loro storia sia raccolta in unità e trasfigurata dalla grazia. Questa “seconda” accoglienza – più interiore, spirituale, “verticale” – impegna la Chiesa stessa nella comunione invisibile con tutti i suoi figli. Il gesto di accogliere gli sposi e le rispettive famiglie e di salutarli presso le porte della chiesa potrebbe poi, ministerialmente, dilatarsi alla coppia, la quale a sua volta è invitata a salutare cordialmente, in parallelo con il saluto del celebrante, i convenuti, ricordando la storia del proprio amore e il perché della scelta di sposarsi nel Signore Gesù Cristo.

Segue l’ingresso degli sposi che, nello svolgersi della processione fino all’altare, accompagnati dai genitori e dai testimoni, mostrano la tensione-orientamento della loro esistenza a Cristo, il loro amore-venerazione a Cristo (l’altare è venerato) e la loro disposizione ad ascoltarlo (si collocano “ai piedi” dello stesso altare).

La seconda forma dei riti di accoglienza ricalca il cliché più classico dell’ingresso solenne della sposa e rischia di scivolare verso modelli più stereotipati. Quel padre che dà la figlia al marito potrebbe perfino suggerire nostalgie ‘patriarcali’ (e probabilmente tale era la realtà, nella sua origine storica), oltre a evocare suggestioni da film, da sfilata, da corte regale. L’ingresso insieme dei due sposi dice invece la loro personale scelta cristiana.

La Liturgia nuziale – omettendo l’atto penitenziale – esordisce con una memoria Baptismi, celebrata – “dove è possibile”, recita il n. 55 – presso il fonte battesimale, che viene raggiunto con una processione. Gli sposi cristiani, partecipi in forza del loro Battesimo del mistero pasquale di Cristo crocifisso e risorto, si dispongono a celebrare le Nozze, prima che come impegno, come risposta libera (e liberante) a un amore che, poiché proviene da Dio, li precede. Su questo insistono le tre monizioni iniziali, a scelta del presbitero, che introducono la memoria Baptismi.

Il rito di aspersione, che prende il posto dell’atto penitenziale, si compone di una monizione iniziale, una litania con acclamazione di ringraziamento per il dono sacramentale del Battesimo dinanzi all’acqua benedetta; infine l’aspersione, di chiara impostazione trinitaria e pasquale, dei nubendi e di tutta l’assemblea, mentre si esegue un’antifona adatta.

Al canto del Gloria, divenuto elemento essenziale della Messa per gli sposi, segue l’Orazione colletta,che chiude i riti di introduzione.

 

2. Liturgia della Parola

L’apprezzabilissimo Lezionario per il sacramento del Matrimonio dispone di un’ampia collezione di pericopi bibliche tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Se permane il criterio di adottare tutti i brani biblici che si riferiscono direttamente alle nozze nell’Antico e nel Nuovo Testamento, di notevole interesse è la scelta di testi che hanno la capacità di illuminare il “mistero grande” (cfr. Ef 5,32) non solo dell’amore umano ma anche della rivelazione cristiana.

La Liturgia della Parola, al termine della proclamazione del Vangelo, estende agli sposi – eccezione assoluta per i ministri non ordinati – la venerazione dell’Evangeliario, visibilizzazione sacramentale della presenza del Risorto che parla alla Chiesa, prevedendo anche per essi il bacio liturgico del libro. Questo “gesto” rituale si pone come atto di fede nella presenza reale di Cristo, cioè di ascolto della sua Parola, che illuminerà i momenti “cruciali” dell’esistenza degli sposi, e impegno a vivere e testimoniare la ministerialità sponsale in obbedienza al Vangelo. Il bacio allude anche a un amore a Cristo che precede, fonda e sostiene quello tra gli sposi.

 

3. Liturgia del Matrimonio

La Liturgia del Matrimonio esordisce con le interrogazioni prima del consenso. Si possono formulare secondo il modello classico dell’“interrogazione”, o secondo la nuova forma della “dichiarazione” contemporaneamente espressa dai nubendi.

Segue la manifestazione del consenso, accompagnato dall’antichissimo gesto della dexterarum junctio. Esso si rafforza con l’indicazione di rivolgersi l’uno verso l’altro, passando dalla posizione rivolta all’altare, che è Cristo, allo sguardo verso il coniuge.

Il consenso prevede tre forme.

La prima – oltre alla sostituzione del verbo “prendere” con il più esistenzialmente ricco “accogliere” – raccorda meglio le espressioni del libero e maturo impegno umano (“prometto di esserti fedele sempre…”) con l’azione gratuita di Dio, tramite la felice espressione “con la grazia di Cristo”, chiara allusione al primato della grazia sul consenso sacramentale.

Una seconda forma prevede una reciproca interrogazione tra sposo e sposa, di vago sapore biblico, che si chiude con un consenso “a una voce”, espressione lirica del mistero nuziale dell’una caro. L’espressione “con la grazia di Dio”, anche nella seconda forma, interagisce teandricamente con il libero impegno umano.

È prevista ancora una terza forma, tutta interrogativa, utile nei casi in cui sia difficile o impossibile l’esposizione di un testo prolungato, per balbuzie, analfabetismo, cecità…

Chiude questa sezione l’accoglienza del consenso, con il “ricuperato” gesto da parte del presbitero di stendere la mano sulle mani unite degli sposi.

La benedizione e consegna degli anelli vede il presbitero consegnare gli anelli agli sposi.

È data la possibilità di arricchire i riti esplicativi, dando alla Liturgia maggior forza simbolica ed espressività, con l’incoronazione degli sposi. Essi sono il nuovo Adamo e la nuova Eva, che hanno raggiunto il “coronamento-completamento” dell’esistenza l’uno nell’altro. L’uno è divenuto “causa” e “ragione” di salvezza (cioè corona di eternità) dell’altro, come fosse avvenuta una dedicazione dell’uno all’altro.

È possibile collocare a questo punto la solenne benedizione nuziale. L’anticipazione della benedizione viene motivata da una riscoperta pneumatologia del rito, situando entro la “Liturgia del Matrimonio” un’“epiclesi nuziale”.

È possibile accompagnare la solenne benedizione con il rito dell’imposizione del velo sugli sposi ovelazione. Esso vuole esprimere la “comunione di vita che lo Spirito, avvolgendoli con la sua ombra, dona loro di vivere”. Questo gesto, carico di suggestione, esprime una dilatazione simbolico-rituale rispetto all’ancor troppo frequente uso dell’“asciutta” formula di consenso. Il velo è memoria del nimbo, della nube di cui Dio è avvolto e segno dell’epiclesi dello Spirito Santo-Amore sugli “amanti”.

La consueta preghiera dei fedeli – presentata secondo il modello esemplare di poche e brevi invocazioni di stampo litanico – si prolunga in una significativa invocazione (litania) dei santi, intercessione di coloro che vissero santamente-fedelmente nel Matrimonio, segno di comunione ecclesiale, di protezione celeste, nonché anticipazione della comunione escatologica cui tende e si proietta la Liturgia cristiana.

Quando è prescritto, si fa la Professione di fede.

 

4. Liturgia eucaristica

Si svolge come di consueto ed è integrata dall’invito agli sposi a portare all’altare i santi doni del pane e del vino, segno della strettissima relazione tra Matrimonio ed Eucaristia.

L’esortazione, all’Offertorio, a raccogliere le offerte per “particolari situazioni di povertà” è l’ennesimo richiamo alla più autentica vocazione dell’offertorium romano, sintesi mirabile tra la caritas e il sacrificium di Cristo – sacramentalmente presente nei santi Doni consacrati – e la caritas e il sacrificium fidelium, esistenzialmente presente nell’offerta di sé e nelle oblate (in senso ampio) per i fratelli più poveri. Le due “offerte” si completano e si fondano reciprocamente. Sarebbe perciò auspicabile che gli sposi proponessero una colletta per i poveri, da presentare all’offertorio delle Nozze.

Il rito del Matrimonio ha il proprio vertice simbolico-teologico nella Comunione degli sposi sotto le due Specie. Con questo gesto essi assumono-assimilano il Corpo e il Sangue di Cristo nell’atto supremo di consegnarsi al mondo per amore. Pertanto, ricevendo come nutrimento l’amore divino di Cristo, ottengono la grazia di diventare essi pure capaci di amore fino al dono supremo di sé.

 

5. Riti di conclusione

Oltre alla benedizione, è questo il momento delle disposizioni concordatarie, lette sempre pubblicamente, e della sottoscrizione dell’atto di Matrimonio, da potersi fare pubblicamente o in sacrestia (mai sull’altare!).

Un congedo, un po’ verboso a dire il vero, conclude la celebrazione, con l’invio “missionario” e il richiamo alla ministerialità sponsale.

Si suggerisce infine la possibilità di donare agli sposi il libro della Sacra Scrittura.

 

Il Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola [di Dio].

La seconda forma si articola in quattro parti.

1. Riti di introduzione: analoghi al primo schema, prevedono una ricca memoria del Battesimo. Chiude un’orazione colletta.

2. Liturgia della Parola: con gli stessi principi del primo schema. Si inaugura con una monizione introduttiva e si chiude con il bacio di venerazione dell’Evangeliario da parte degli sposi.

3. Liturgia del Matrimonio: prevede uno schema celebrativo analogo al primo, anche se più semplice. Si compone di alcune parti per le quali valgono i principi interpretativi già sopra menzionati:

  1. Interrogazioni
  2. Consenso
  3. Benedizione degli anelli
  4. Benedizione nuziale
  5. Preghiera dei fedeli e preghiera del Signore
  6. Interessante l’introduzione della consegna ritualizzata della Bibbia. La celebrazione del Matrimonio ha lì il suo culmine celebrativo rituale. La Parola di Dio diventa il dono più grande ricevuto dagli sposi, in vista dell’impegno a proseguire l’itinerario di fede.

4. Riti di conclusione, che si articolano in:

  1. Benedizione
  2. Disposizioni concordatarie e sottoscrizione dell’atto di Matrimonio

 

L’esercizio della ministerialità

Un carattere che è fondamentale riconoscere nel rito del Matrimonio è la diffusa ministerialità che richiede.

Gli sposi, tramite il patto coniugale che liberamente si scambiano, sono evidentemente i soggetti primi.

Il presbitero (talora il Vescovo o il diacono), esercitando un’azione deprecativa (epicletica) sugli sposi, si pone come il soggetto attivo di una ministerialità deputata a celebrare la forza trasformante dell’agire sacramentale di Dio.

I lettori, ministri dell’annuncio di salvezza dello Sposo divino alla Chiesa, sua diletta Sposa, esercitano un servizio di tipo profetico, manifestando l’epifania della presenza di Cristo nella sua Parola. Un ministero, dunque, che non può essere relegato all’improvvisazione dell’ultimo momento, né ai semplici criteri “di amicizia”.

I cantori, il salmista, i musicisti. È necessario pensare al canto nella Liturgia nuziale come a un “linguaggio della fede celebrata”, appartenente alla natura stessa del rito cristiano, rifuggendo dalla logica della mera solennizzazione e dello sfarzo. I brani da eseguire vanno concordati tra presbitero, sposi, cantori e musicisti, perché siano in profonda unità con il rito nuziale, espressione coerente e consapevole del mistero celebrato.

Di grande problematicità pastorale è la creazione di un repertorio di canti appropriati al rito delle Nozze. Andrebbe assolutamente rivista la prassi di usare canti tratti dalle grandi arie di noti compositori, tradizionalmente approdati al “Matrimonio in chiesa”. L’aspetto problematico di questa consuetudine non riguarda tanto il “genere musicale” dei brani, né il fatto che sia un cantore a eseguirli, quanto piuttosto la modalità con cui ciò avviene. La Liturgia mal sopporta solisti in atteggiamento da palcoscenico. Vuole avvalersi di cantori che, in atteggiamento orante, elevino potentemente gli animi a Dio ed esprimano con il canto la supplica, l’adorazione, la profondità del mistero. L’ambito rituale nel quale intervenire, concordato in anticipo, il loro posto nell’aula liturgica, l’uso del microfono, l’abbigliamento saranno pertanto orientati a tale scopo. È quasi superfluo ricordare come la scelta dei brani debba attingere solo al repertorio strettamente cristiano e sacro. Il canto “romantico” o poetico dell’amore umano non trova collocazione in un’autentica Liturgia cristiana.

Gli accoliti e i ministranti assumono l’ufficio di ministri dell’altare, il cui compito è di affiancare sposi e presbitero per tutte le mansioni, anche pratiche, riguardanti la proprietà dell’allestimento – scevro da ogni barocchismo e cerimoniosità –, la ritualità diffusa (l’incenso, i ceri, la preparazione dell’altare, i libri liturgici…), l’uso dei segni e delle suppellettili fondamentali (l’Evangeliario, i vasi sacri, le corone, il velo, gli anelli, i fiori…), elementi necessari all’espressività simbolico-rituale, pena l’appiattimento sul solo codice verbale. La funzione dei ministranti potrebbe essere anche utile per recuperare nella celebrazione delle Nozze l’uso dello spazio: si pensi alla statio fuori dalla chiesa; alle processioni al fonte battesimale, all’ambone e durante la presentazione dei doni; alla collocazione degli sposi nell’aula liturgica durante la benedizione e le altre preghiere; alla presenza distribuita nello spazio circostante dei ministri ordinati, dei testimoni, dei parenti, della schola cantorum, di eventuali musicisti; alla collocazione non “cerimoniale” di banchi, ceste di fiori, sedili, microfoni, drappi, dettagli certamente marginali ma che, per il loro aspetto funzionale o decorativo, se usati male possono trasformarsi in goffi apparati o ostacoli visivi nell’aula.

 

Alcuni suggerimenti pratici

 

La coronazione e la velazione

I due riti esplicativi facoltativi – la coronazione e la velazione – sono contigui. Dopo il consenso, le persone che ne sono state incaricate portano processionalmente le fedi nuziali, le corone e il velo. Si pongono alla destra del sacerdote, che benedice gli anelli e li dà agli sposi per lo scambio, dopo il quale essi si inginocchiano. Il celebrante, tenendo le corone sul loro capo, pronuncia la formula come da Rito del Matrimonio n. 78, quindi le impone su entrambi.

È possibile che siano i fioristi stessi a realizzarle, con una struttura di fil di ferro molto sottile, rivestito di carta e di piccole foglie verdi o, nel caso della sposa, di roselline e altri fiori adatti (non il velo da sposa, che risulta disordinato). In alternativa, si può scegliere la tipica corona orientale, acquistabile online o in alcuni negozi di articoli religiosi. Ci sono anche siti dove la si può trovare in forma di fascetta: un piccolo circulus, molto elegante, di argento dorato.

Il velo, fatto di stoffa leggera (tendenzialmente il tulle), dev’essere grande, in modo da coprire sposo, sposa e sacerdote: almeno quattro metri per due. Può essere anche – come esemplarmente si fa in Sicilia – abbellito e ricamato. Dal punto di vista pratico, quando viene imposto al termine della solenne benedizione degli sposi, lo si fissa all’acconciatura di lei, o con un pettine già predisposto sul lato corto, qualora voglia lo strascico, oppure sul lato lungo, se preferisce una foggia più sobria.

Sarebbe bene che fosse una donna, per la grazia necessaria in questo frangente, a porgere ai testimoni e ai genitori il velo, che viene aperto e steso mentre quattro persone lo reggono agli angoli. Gli sposi sono in ginocchio e glielo si fa scorrere sopra il capo, in modo che si formi così la huppah. Il sacerdote entra sotto il velo e lì canta – o almeno recita – la solenne preghiera di benedizione. Poi lo sposo si alza e, se lo desidera, si toglie la corona. La sposa resta in ginocchio e, liberato il capo, si fa mettere da un’amica o una testimone il velo, fissandolo sulla pettinatura acconciata, quindi il sacerdote ci rimette sopra la corona. Questo è il momento in cui, mentre la schola fa un canto di esultanza, gli sposi possono salutare i genitori e i testimoni, invece che approfittare dello scambio di pace, che dovrebbe mantenersi sobrio e composto, senza gente che gira per la chiesa raggiungendo parenti e amici.

Alla litania d’intercessione con le invocazioni dei santi segue, se è domenica, il Credo, e infine l’offertorio, con il pane e il vino portati dagli sposi all’altare.

 

I fiori

Non ci sono norme precise da rispettare per quanto riguarda colori e tipologie. Ciò che va evitato è che il fiorista addobbi la chiesa puntando a creare un’ambientazione, con candele sui gradini, lampade, torce, lucerne, vasi, cascate di fiori, petali per terra… Gli organizzatori dei Matrimoni chiedono spesso agli sposi di acquistare il pacchetto completo dei servizi, per cui i fiori per la chiesa vengono poi trasferiti al banchetto nuziale, dimenticando che l’arredo di un luogo sacro ha una vocazione diversa rispetto all’estetica di un centrotavola da banchetto nuziale.

I fiori, nella Liturgia, hanno lo scopo di dare lode a Dio e di ornare le due eminenzialità: altare e ambone (anche il fonte battesimale, se ci si reca lì per fare la memoria del Battesimo). I fioristi non devono esagerare nel riempire il prebiterio di ammassi di piante, che entrano nella logica dell’ambientazione. È preferibile piuttosto un segno floreale lungo i banchi della chiesa.

 

Il sussidio liturgico

Non vanno scaricati da internet. L’ideale sarebbe che ogni prete avesse un file word con l’ossatura fondamentale del rito, e le parti facoltative segnate in rosso, da girare alla coppia.

Il sussidio liturgico (libretto) ha bisogno che si faccia preliminarmente la scelta delle letture; per questo va consegnato agli sposi, all’inizio del corso di preparazione al Matrimonio, il pdf scaricabile della CEI con il Lezionario. Così, nei mesi che precedono la celebrazione, possono leggersi le poco più che ottanta pericopi tra Antico e Nuovo Testamento per scegliere le più adatte, e questo varrebbe per loro da importante itinerario spirituale. Bisogna solo stare attenti a individuare letture conformi ai tempi dell’anno liturgico. Le coppie vanno informate che in Avvento e Quaresima i Matrimoni è fatto divieto di celebrare solennemente le Nozze, in ragione del clima penitenziale, e che, qualora si decidesse per un sabato del Tempo di Pasqua, dopo le 16 è necessario usare letture ed eucologia delle domeniche di Pasqua. Invece, se la celebrazione avviene prima delle 16, si possono scegliere nel Lezionario del Matrimonio tra quelle indicate per il Tempo di Pasqua.

Si eviti di fare libretti a metà, dove manca la parte eucaristica. O c’è tutto, o meglio limitarsi a un foglio con i canti. In copertina sarebbe importante che la dicitura fosse: “Celebrazione eucaristica con il rito del Matrimonio di…” o “Celebrazione della Parola di Dio con il rito del Matrimonio di…”, non “Luca e Francesca sposi” o “Luca e Francesca 2025”, scelte emotivo-affettive improprie. Non stiamo celebrando loro, ma l’Eucaristia e la Parola di Dio; e nel corso della Pasqua del Signore avviene il Matrimonio di Luca e Francesca.

La fattura del libretto sia semplice: basta una spillatura, senza costosi nastri. Le immagini dovrebbero uscire dagli stereotipi, evitando tramonti, fedi incrociate e colombine che si baciano. Piuttosto, si cerchi una raffigurazione di Cristo e Maria, o una fotografia della chiesa parrocchiale, metafora della Chiesa sposa di Cristo e segno del luogo che accoglie la coppia.

 

I canti rituali e la musica

È sempre difficile trovare un’assemblea che canti nel corso dei Matrimoni, per cui un coro (anche di poche persone) risulta molto utile. Si abbia cura che non manchino almeno i canti del Gloria, del Salmo responsoriale, dell’Alleluja, del Santo e dell’Agnello di Dio, in dialogo con l’assemblea per quanto è possibile. Il resto può essere affidato al coro, purché si vietino i brani che non hanno nulla a che fare con la fede.

Si tenga in debito conto l’Appendice musicale che sta nel Rito del Matrimonio 2004 (pp. 131-138), in cui sono presenti i canti rituali del celebrante in dialogo con il coro e l’assemblea. Specie la memoria del Battesimo e la bella benedizione degli sposi (accompagnata possibilmente dalla velazione) in dialogo con la schola e l’assemblea.

 

Le fotografie e i video

Il Diritto canonico prescrive che «nel luogo sacro sia consentito solo quanto serve all’esercizio e alla promozione del culto, della pietà, della religione» (CJC can. 1210). In questa prospettiva, è necessario che l’intervento dei fotografi nel contesto della Liturgia venga concordato con il rettore della chiesa in cui si svolge la celebrazione, che ne è il responsabile (cfr. IGMR 73).

È bene definire in precedenza (non immediatamente prima delle celebrazioni) le modalità esecutive del servizio fotografico, magari identificando una o più postazioni fisse (secondo la configurazione architettonica delle singole chiese) dalle quali fare le riprese. Gli spostamenti necessari devono essere sobri e discreti, evitando attraversamenti del presbiterio.

La Liturgia della Parola e la Preghiera eucaristica impongono un assoluto rispetto e sono momenti in cui non vanno fatti scatti o riprese.

L’uso del flash andrebbe evitato, o almeno ridotto al minimo indispensabile, e se c’è bisogno di accendere o spegnere lampade di elevata intensità, ciò non va fatto in maniera brusca. Si provveda piuttosto a un’illuminazione supplementare dell’ambiente fin dall’inizio della celebrazione.

Si cerchi di assicurare discrezione nei gesti, silenziosità nei movimenti, decoro nell’abbigliamento, garantendo un atteggiamento sempre consono al contesto.

Al termine delle celebrazioni è consentita una maggiore libertà, salvo sempre il rispetto dovuto al luogo sacro.

 

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Per celebrare il silenzio

 

All’inizio della Liturgia eucaristica, dopo la presentazione delle offerte, il presbitero dice: Orate fratresPregate, fratelli e sorelle, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente. A questa antica e veneranda formula offertoriale di invito alla preghiera, furono aggiunte (nel Messale Romano edizione II del 1983) altre formule di pari intensità, tra le quali: Pregate, fratelli e sorelle, perché il sacrificio della Chiesa, in questa sosta che la rinfranca nel suo cammino verso la patria, sia gradito a Dio Padre onnipotente.

Si comprende in modo chiaro come tale sosta debba essere intesa come una disposizione interiore a rinfrancare le forze, attingendo energia da quanto di più essenziale è dato alla Chiesa: la persona divina di Gesù Cristo. L’incontro, la sosta con lui, non è un astratto e vago ricordo di quanto egli ci avrebbe lasciato come eredità spirituale. Si tratta piuttosto di un tempo santo nel quale riconoscere un inatteso rovesciamento delle parti: non noi, non la Chiesa con le sue forze, ma Cristo agisce nella Chiesa, la regge, la conduce, la rinfranca e le dà vita. Mentre celebriamo i divini Misteri – e in modo particolarissimo l’Eucaristia – siamo chiamati a fare esperienza di come in essi il Signore agisca in prima persona. Potremmo dire che Liturgia cristiana è proprio una sosta che rinfranca, in quanto riconsegna a Cristo la guida della Chiesa e il primato della sua grazia nella vita pastorale.

Sarà spiritualmente fruttuoso riappropriarci di questa feconda e rinfrancante sosta che è la Liturgia(specie l’Eucaristia!), celebrata nel giorno del Signore risorto (e quotidianamente) nelle nostre parrocchie. Riappropriarci del suo essere sosta che le rinfranca, le corrobora, le nutre, le riaggancia all’essenziale, le rianima evangelicamente. Questo deve avvenire dando maggior fiducia alla potenza del rito in sé e non cadendo nell’ingenuità della didascalia didatticheggiante, tentazione perenne di una mal interpretata riforma liturgica.

A tal proposito, uno degli elementi rituali più importanti della celebrazione liturgica è il silenzio, spazio dell’agire divino, cui il Messale Romano dà più volte la qualifica di sacro. Esso viene definito come “parte della celebrazione”, capace di favorire l’attiva partecipazione dei fedeli (cfr. Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 30). Il silenzio, durante la Liturgia, è densissima esperienza antropologica dell’uomo che sosta, sospende le altre “attività”, per riconoscere, quasi estatico, l’invisibile presenza del Crocifisso risuscitato. Nel silenzio santo, verso il quale tutti i riti – se autenticamente celebrati – si dirigono, la Chiesa non tanto ascolta, ma “vede” il suo Signore.

Il silenzio santo, apparentemente inattivo, sospende ogni mediazione, ogni ministero, ogni parola e canto, affidando a tutti – fedeli laici e pastori indistintamente – la potestà di stare davanti a Dio faccia a faccia, tutti rivolti verso di lui.

In quel silenzioso spazio divino, come Chiesa del Signore risorto, sarà possibile riconoscere nella fede che il pane e il vino sono stati trasformati (transustanziati) per opera dello Spirito Santo nel Corpo e nel Sangue di Cristo, perché fosse trasformata (potremmo osare l’espressione transustanziata!) la Chiesa stessa in un solo mistico Corpo. Non è poca cosa, per la vita delle nostre parrocchie, darsi uno spazio apparentemente così poco dinamico, poco coinvolgente, poco emotivo, quale il silenzio, per riconoscere, con gli occhi della fede, che nella Liturgia la Chiesa riceve – per grazia – la luce del Vangelo, la gratuità della salvezza, la gioia della vita fraterna, la forza di amare, la speranza che non conosce tramonto…

La nostre parrocchie hanno l’opportunità di dare fiducia alla fede celebrata dal Popolo santo di Dio, lasciando che eserciti la sua azione sacerdotale, presentando a Dio l’offerta della sua vita, unita al Sacrificio di Cristo, credendo che questo stesso Popolo santo di Dio sappia – celebrando il silenzio – riconoscerlo presente nei Santi misteri, sappia adorarlo, sappia seguirlo sulla via del Vangelo, sappia obbedirgli, vivendo la vita fraterna e la carità umile e operosa.

I momenti più idonei per valorizzare il silenzio (indicati dai libri liturgici stessi), durante la celebrazione eucaristica, sono: durante l’atto penitenziale; dopo l’invito alla preghiera (“Preghiamo”) nelle orazioni;dopo le letture bibliche; dopo l’omelia; dopo la santa Comunione (specie dopo il Canto di comunione,senza dover concludere frettolosamente la celebrazione). È altresì possibile dare spazio al silenzio (al posto del ritornello) dopo ogni intenzione della Preghiera dei fedeli; il silenzio può essere valorizzato all’offertorio, pronunciando le preghiere di offerta (Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo…) sottovoce, come indica lo stesso Messale Romano. Densissimo il silenzio durante l’elevazione dell’Ostia e del Calice consacrati (nella Preghiera eucaristica), tenendo conto che non è mai ricordato a sufficienza il divieto assoluto di ogni sottofondo musicale: il grande e sacro silenzio dell’assemblea durante la Preghiera eucaristica è una delle forme più alte della sua partecipazione attiva. Il silenzio potrebbe essere molto proficuo spiritualmente durante la celebrazione delle Esequie cristiane; del Matrimonio(queste celebrazioni sono spesso “inquinate” da frastuono, applausi, elementi inadeguati al rito cristiano); durante la celebrazione della Liturgia delle Ore e durante l’Adorazione eucaristica. Può essere spiritualmente fruttuoso il recupero del silenzio in Quaresima: con l’uso della sola voce umana – senza l’accompagnamento dell’organo e degli altri strumenti musicali –, la possibile sostituzione di alcuni canti processionali con il silenzio (introito, offertorio, canto di Comunione)… Forme rituali molteplici aiutano non a “fare” silenzio ma a celebrare il silenzio.

Gianandrea Di Donna

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Matrimonio, una carne sola

Nei due decenni trascorsi da quando, nel 2004, è stato pubblicato il “nuovo” Rito del Matrimonio, la società ha vissuto cambiamenti inimmaginabili. La percezione dell’identità di uomo e donna è stata stravolta, eppure la novità che la Liturgia offriva alla Chiesa rimane vivida, con una ricchezza di segni che meritano di essere compresi e valorizzati come importanti risorse pastorali. Con questo obiettivo, l’Ufficio per la Liturgia e l’Ufficio di Pastorale della famiglia propongono il corso “Come la parrocchia celebra il Matrimonio”. Due incontri, mercoledì 19 e 26 marzo, alle 20.45, contemporaneamente nelle Chiese Parrocchiali di Solesino, Stra, Asiago e Sacro Cuore in Padova (e giovedì 20 e 27 marzo a Quero). Il corso è pensato tanto per i presbiteri e i diaconi, quanto per i laici che li affiancano nelle celebrazioni (in particolare i membri dei gruppi liturgici), ma anche per chi voglia approfondire dal punto di vista teologico il mistero di un Dio che si rivela come Amore increato.

La prima data sarà a cura dell’Ufficio Famiglia, che nei mesi scorsi ha raccolto presso varie parrocchie della Diocesi alcune domande su temi da ripensare per un aggiornamento. Nel secondo, l’Ufficio per la Liturgia si concentrerà sul rituale e la teologia del sacramento cristiano dell’amore coniugale, che a volte corre il rischio di essere inteso solo come il “momento magico” dove a farla da padroni sono gli affetti e le relazioni personali dei due sposi, i loro gusti, le loro musiche del cuore, le loro scelte estetiche. Una rinnovata e più accurata “introduzione ai misteri” permetterà di entrare nello spirito delle preghiere e delle molteplici azioni simboliche che compongono il rito del Matrimonio, scoprendone la stupenda ricchezza spirituale. Mentre crescono separazioni e divorzi, la Chiesa può opporre alla deriva lo sfolgorante annuncio di un Dio che è luce, bellezza, verità, carità, e continuare a offrire la cura amorosa dei suoi sacramenti.

Le riforme del 1975 e del 2004 mostrano la piena consapevolezza del legame tra le Nozze cristiane e l’Eucaristia, rendendo manifesto come sia solo la partecipazione alla Pasqua del Signore a permetterci di avere la capacità di un dono senza riserve, tanto nel campo dell’etica quanto in quello dei sentimenti. L’unione indissolubile e feconda, fino a diventare “una carne sola”, di un uomo e una donna non è un sogno romantico da costruire con le nostre forze; è un obiettivo di vita talmente alto da essere equiparabile alla vocazione a seguire Gesù che chiede di caricarsi del giogo soave della croce. La grazia effusa nella celebrazione del Matrimonio permette a una coppia di diventare simbolo, con la scelta di una vita insieme senza fratture, dell’alleanza eterna che Dio ha stabilito con l’umanità. Non va mai dimenticata questa prospettiva “dall’alto”.

La novità pastorale del 2004 sta soprattutto nei due modelli celebrativi proposti: il Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica e il Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola di Dio, quest’ultimo secondo una duplice articolazione (tra battezzati e tra una parte cristiana e l’altra catecumena o non battezzata). La “flessibilità liturgica” è la modalità con cui la Chiesa prova ad andare incontro alla reale situazione di fede dei nubendi, senza costringerli a forzature. Se in certi casi l’Eucaristia risulta una proposta eccessiva, il Matrimonio “nella celebrazione della Parola di Dio” è l’occasione perché una coppia riprenda confidenza con l’annuncio della salvezza, primo passo sulla via di una rinnovata iniziazione cristiana.

Una prospettiva attualissima da considerare è la diffusa ministerialità che il sacramento del Matrimonio richiede. La parrocchia dovrebbe imparare a stringersi con calore intorno ai fidanzati, mettendo a disposizione i propri lettori, cantori, musicisti, accoliti e ministranti, le persone che si prendono cura dei fiori e dell’arredo, oltre che i catechisti e le coppie già sposate per l’accompagnamento. Ciò agirebbe in senso evangelizzatore sugli sposi, che farebbero un’esperienza davvero significativa di fraternità, e, al contempo, valorizzerebbe i carismi di chi presta il proprio servizio alla Chiesa. Ed è in questo senso che il corso desidera offrire gli spunti più concreti, secondo gli auspici del recente Sinodo diocesano, che ha individuato nella valorizzazione della ministerialità uno degli obiettivi fondamentali del futuro che ci attende.

Gianandrea Di Donna

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Dare fiducia al seme originario

«Riconoscenti per essere divenuti figli nel Figlio, facciamo ora memoria del Battesimo, dal quale, come da seme fecondo, nasce e prende vigore l’impegno di vivere fedeli nell’amore». Con il rito della memoria del Battesimo, gli sposi cristiani, partecipi del mistero pasquale di Cristo crocifisso e risorto, orientano le loro Nozze prima che come impegno, come risposta libera (e liberante) all’amore di Dio che li precede. Per questo la liturgia nuziale inizia con la memoria Baptismi, celebrata possibilmente presso il fonte battesimale, da raggiungersi con una processione.

Il rito, che prende il posto dell’atto penitenziale, si compone di una monizione iniziale, una invocazionein canto con acclamazione di ringraziamento per il dono del Battesimo dinanzi all’acqua benedetta; quindi l’aspersione dei nubendi e dell’assemblea, mentre si canta un’antifona adatta. Tutto è preceduto dall’atto rituale con cui sposi e assemblea raggiungono processionalmente il fonte battesimale, ricuperando un’autentica teologia dello spazio: le nostre assemblee, spesso “ingessate” (causa non ultima i banchi, di severa tradizione protestante, per assemblee “sedute” e “composte”, in ascolto del sermone) sono chiamate a ritrovare una tradizione cattolica (arcaica) che vuole assemblee “in piedi”, dinamiche, reattive ed esuberanti. Non “stare-vedere”, ma “andare-udire”! La scelta è quella di “tornare” al fonte, ianua Ecclesiœ (“porta di accesso” nella Chiesa), per dare fiducia a quel seme originario, il Battesimo, e ai suoi frutti di amore.

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Compagni di strada della famiglia nascente

Quando, nel 2004, i vescovi italiani hanno sentito il bisogno di offrire alle comunità cristiane il nuovo Rito del Matrimonio, le diocesi del Triveneto hanno accolto questo dono come un invito a ripensare anche l’accompagnamento pastorale delle coppie che domandano di unirsi nel sacramento. Quattro i protagonisti chiamati a entrare in gioco: fidanzati e accompagnatori, fisicamente impegnati a incontrarsi; Gesù maestro, presenza viva e discreta in ogni storia d’Amore; la comunità cristiana, riconoscente per il segno rinnovato di un Amore che continua a chiamare al dono di sé. Le storie dei fidanzati sono diventate spunto per riflessioni sui pilastri dell’essere in relazione, gli accompagnatori hanno iniziato a condividere le proprie esperienze di vita e di fede affrancandosi dalla rassicurante dimensione di ‘esperti’, la presenza di Gesù è stata condivisa nell’accostarsi insieme alla Parola e ai segni del celebrare… E la comunità cristiana? Oggi, a distanza di vent’anni, come si celebrano le Nozze cristiane nelle nostre comunità? Una possibile risposta è: sempre meno e con sempre meno consapevolezza.

Viene spontaneo invocare il calo demografico e l’aumento delle convivenze, la sensazione di crescente incertezza del futuro e la difficoltà di assumere un progetto per la vita che sembra serpeggiare tra le giovani generazioni. Emerge però anche la sensazione che la chiesa si accontenti di essere scenario passivo per celebrazioni sempre più abitate da professionisti del “giorno più bello della vita”.

Da questo dato muove la proposta formativa che stiamo portando in cinque zone della nostra diocesi, perché le nostre comunità si sentano chiamate a dare corpo e anima al celebrare le Nozze, anche quando a chiederlo sono coppie “sconosciute”. Se restiamo timidamente sulla soglia, invece di offrirci come compagni di strada alla famiglia nascente, rischiamo di lasciare un vuoto che resterà tale o sarà al più colmato da chi offre promesse di superficie, che non parlano al cuore umano come la Promessa attorno alla quale la comunità cristiana si raccoglie.

Chiara Barra e Federico Piovan

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Non manchi mai la parte eucaristica

Il “libretto” per la celebrazione del Matrimonio ha bisogno che si faccia preliminarmente la scelta delle letture; ciò potrebbe rappresentare per gli sposi un importante itinerario spirituale. Il pdf scaricabile della CEI con il Lezionario andrebbe consegnato loro all’inizio del corso di preparazione, così hanno modo di leggersi le poco più che ottanta pericopi tra Antico e Nuovo Testamento e orientarsi sulle più adatte, nel rispetto dei tempi dell’anno liturgico. Le coppie vanno informate che in Avvento e Quaresima è fatto divieto di celebrare solennemente le Nozze, in ragione del clima penitenziale, e che, qualora decidessero per un sabato del Tempo di Pasqua, dopo le ore 16 è necessario usare letture ed eucologia delle domeniche di Pasqua (se invece la celebrazione avviene prima, si possono scegliere nel Lezionario del Matrimonio tra quelle indicate per il Tempo di Pasqua).

Si eviti di fare libretti a metà, dove manca la parte eucaristica. O c’è tutto, o meglio limitarsi a un foglio con i canti. In copertina sarebbe importante che la dicitura fosse: “Celebrazione eucaristica con il rito del Matrimonio di…” o “Celebrazione della Parola di Dio con il rito del Matrimonio di…”, non “Luca e Francesca sposi” o “Luca e Francesca 2025”, scelte emotivo-affettive improprie. Non stiamo celebrando loro, ma l’Eucaristia e la Parola di Dio, ed è nel corso della Pasqua del Signore che avviene il Matrimonio di Luca e Francesca.

La fattura del libretto è bene sia semplice, per cui basta una spillatura, senza costosi nastri. Le immagini dovrebbero uscire dagli stereotipi, evitando tramonti, fedi incrociate e colombine che si baciano: una raffigurazione di Maria e del Signore, oppure una fotografia della chiesa parrocchiale, metafora della Chiesa sposa di Cristo e segno del luogo che accoglie la coppia.

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Adeguamento liturgico

Nel giorno della sua Dedicazione, la chiesa cessa di essere un edificio, una costruzione fatta di pietra, mattoni, cemento, vetro, marmo, per diventare – restando pietra, mattoni, cemento, vetro e marmo – il dito della fede puntato verso una dimora che ci attende tutti: il “posto” che Gesù ci ha preparato, la sua casa, che sarà la nostra casa. Mentre noi siamo pellegrini dentro questa storia, dentro l’esistenza che ci è data (come dice la Scrittura: “settanta, ottanta per i più robusti”…), Dio ha posto il segno visibile della sua presenza in mezzo a noi. Non la chiesa come edificio, ma il Verbo di Dio, Gesù di Nazareth, che, nato dal grembo purissimo della Vergine Maria, con la carne degli uomini cammina insieme ai due discepoli verso Emmaus – cioè cammina insieme a noi.

Il Signore, che ha detto Sarò con voi fino alla fine del mondo, nella sua misericordia senza limiti ha voluto darsi nella storia attraverso i segni di questo cosmo, del mondo che ha creato. Come ha assunto la nostra natura umana, così la sua presenza reale ed efficace ci viene comunicata attraverso il visibile, ma un visibile che reca in sé il mistero invisibile, cosicché ogni domenica le mani di una vecchia signora o di un bambino di dieci anni si tendono e ricevono un frammento di pane, e lì c’è il Signore crocifisso, sepolto e risorto. In un po’ d’acqua, c’è il Giordano nel quale un bimbo entra, è sepolto, muore con Cristo e risorge. In un po’ d’olio, c’è quel fuoco disceso dal cielo, che non brucia con le fiamme devastatrici della terra, ma con l’amore di Dio. Nelle mani di un uomo e di una donna che si stringono, l’unione che si genera è la stessa che Gesù ha voluto sulla croce con la sua Sposa: noi, la Chiesa. È tutto così il Vangelo. È tutta così la rivelazione. È tutto così il cristianesimo. È sublime, perché è tutto assolutamente umano e semplice, ma portando dentro di sé l’immensità di Dio.

Sono così anche il tempio visibile e i suoi elementi fondamentali. Noi chiamiamo l’edificio sacro “chiesa”, che non è una parola architettonica, ma biblica: ekklesìa: l’unione, il convergere, l’assemblea formata da coloro che celebrano l’Eucaristia, ascoltano Dio e obbediscono alla sua volontà, lo amano per amare i fratelli. Per questo la Dedicazione di una chiesa non è banalmente il vescovo che effonde un po’ di acquasanta benaugurale. Egli dedica il tempio visibile, come si scriveva un tempo sulla facciata di tutte le chiese, D. O. M., Deo Optimo Maximo. Chiedendo l’intercessione dei santi o di Maria, le chiese sono sempre dedicate a Dio, in quanto l’edificio è segno di noi che siamo di Dio.

Non si tratta di inaugurare, dunque, ma di togliere alla materia la brutalità e di renderla, poiché creata da Dio, orientata a lui. Il primo fondamentale elemento simbolico da considerare è il fatto che l’edificio sia composto di pietre. Ognuno dei mattoni è figura della comunione dei fedeli, che non risulta da un accordo, da una convenzione, ma nasce all’altare, dove il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue del Signore crocifisso, sepolto e glorificato, e si fanno carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Ecco quale cemento unisce le pietre.

All’inizio del rito della Dedicazione di una chiesa, il vescovo, i presbiteri e tutto il popolo entrano dal portale e il vescovo asperge le pareti della chiesa insieme all’assemblea, per ricordare la grazia battesimale. Il Battesimo è infatti “ianua Ecclesiae” – dicevano i Padri della Chiesa –, “porta della Chiesa”. Per questo, fin dall’antichità, il Battistero veniva edificato fuori dalle Cattedrali. Solo dopo essere stati battezzati i cristiani entravano nell’ekklesìa.

Quando sorsero le prime chiese parrocchiali, i presbiteri collaboratori del vescovo cominciarono a celebrare i sacramenti in sua vece, ma una piccola pieve non poteva avere un Battistero e allora si iniziò ad aprire, vicino alle porte della chiesa, sul lato destro del tempio (echeggiando Ezechiele e le immagini profetiche con cui Dio ci preparava a quell’acqua uscita insieme al sangue dal fianco di Gesù), una piccola cappella con il fonte battesimale. È lì che i bimbi entrano per la porta che è il Battesimo.

Il vescovo raggiunge poi la sede, che dovrebbe sempre essere laterale. Nell’Eucaristia non c’è una scena da dominare o un trono maestoso da occupare. Non c’è nessuna scena, nessun dominio, solo la voce di un ministro che genera la preghiera lanciandola come una freccia verso Dio, perché il centro dell’Eucaristia non sono il vescovo o i presbiteri suoi collaboratori. Essi valgono da piccolo segno, necessario in quanto, resi per grazia sacerdoti di Dio in virtù dell’imposizione delle mani, presentano al Padre l’offerta sacrificale. Ma il centro è il Signore: lui immolato, lui sepolto, lui risorto. I presbiteri e il vescovo devono presiedere la Liturgia e, allo stesso tempo, mandare il cuore, la mente, la fede, gli occhi dei credenti verso il fulcro e il centro: colui che celebra, il Sacerdote vero, Cristo. È lui che si offre. È lui che rende al Padre il sacrificio glorioso e dona il suo Corpo e il suo Sangue, Pane e Calice di salvezza.

Prima della celebrazione della Liturgia della Parola, il vescovo riceve da un lettore il Lezionario, lo mostra al popolo e dice:

Risuoni sempre in questo luogo
la Parola di Dio;
riveli e proclami il mistero di Cristo
e operi nella Chiesa la nostra salvezza.

Poi, come ogni domenica, il lettore, il salmista, e, se presente, il diacono, salgono uno dopo l’altro sull’ambone. Chi legge o canta la Parola del Signore deve infatti stare in alto, in quanto la salvezza viene dall’alto. Le luci dei ceri, i fiori, il profumo dell’incenso avvolgono la pietra dell’ambone, dove c’è un ministro che proclama, come l’angelo all’alba: “Non è qui: è risorto”. Ogni volta che celebriamo la Liturgia della Parola è come se spalancassimo il sepolcro. È come se si generasse una Pasqua e la primavera irrompesse piena di fiori e di profumi. Dall’ambone esce un canto nuovo, un alleluja, una gioia che non è di quelle effimere, ma è lui, il Vivente.

Il rito della Dedicazione di una Chiesa ha il proprio centro nella dedicazione dell’altare. Il vescovo canta assieme all’assemblea le litanie dei santi e poi su quella pietra pronunzia una lunghissima orazione, tra le più solenni che la Chiesa abbia mai composto. Dopo aver dedicato l’altare a Dio, lo si prepara come si faceva nell’antichità. Prima di tutto il vescovo lo unge con il santo Crisma – lo stesso olio che si usa per cresimare, per consacrare i vescovi e impregnare le mani dei presbiteri –, e poi unge le pareti della chiesa, cosicché ogni anno, sulle croci che verranno poste in quei punti, brilleranno nel giorno anniversario delle candele, memoria del momento in cui le pietre sono state unte con l’opera dello Spirito e sono state rese vive, segno dei credenti.

L’altare nudo, spoglio, viene quindi incensato per la prima volta e illuminato con l’accensione delle candele, dopo essere stato vestito del bianco lino, proprio come il sudario aveva avvolto il corpo santissimo del Signore esanime. Così, dove ora è posto il suo corpo sacramentale, c’è una stoffa candida che ricade ai lati fino quasi a lambire la terra, grande come la sindone che Pietro e Giovanni hanno visto nel sepolcro vuoto.

Bisognerebbe provvedere sempre ad assicurare all’altare un’edificazione architettonica proporzionata al suo significato. Non può essere un pezzo di legno mobile, perché il Signore è stato conficcato, appeso alla croce, sulla pietra del Golgota; perché la Chiesa fonda la propria fede – assurda per il mondo – su quella roccia, che è molto strana: dovrebbe significare stabilità, forza, durezza, ma è lì, sul Calvario. La sua è una strana durezza, è una strana forza, è una strana stabilità, in quanto lui è povero, è servo, è trafitto, è morente. E mentre ai piedi di quella roccia la bocca di Satana rideva la sua morte, il sangue sgorgato dal fianco del Signore soffocava l’antico serpente con l’amore. Questo è il duello prodigioso che celebriamo sull’altare.

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Il dialogo ecumenico aiuta a uscire da visuali ristrette

Invitando alla preghiera per l’unità dei cristiani, la Chiesa ci ricorda che “ogni  ecumenismo  è battesimale”, cioè attratto e suscitato dalla Pasqua del Signore. Il dialogo ecumenico è un modo straordinario per uscire dalle visuali ristrette, riscoprendo per esempio come l’approccio dei fratelli orientali al mistero della Trinità santa sia ancora quello dei Padri della Chiesa, meravigliati e adoranti di fronte alla sublimità di Dio. Dall’interpretazione della Scrittura (“anima della teologia”, affermava il Concilio Vaticano II) alla liturgia o all’ecclesiologia, la loro logica spirituale è rasserenata rispetto all’assillo di trovare soluzioni pratiche alle difficoltà, mentre spesso noi ne siamo pastoralmente strozzati. L’Oriente ha mantenuto un’ispirazione dall’alto, lo slancio del guardare a Dio e alla sua grandezza (e anche alla sua infinita “synkatabasis”, la “condiscendenza” con cui si è chinato sulle piccolezze del cosmo), al fatto che egli è tre-volte-Santo sempre e comunque. “Quando Dio è sceso fino a noi – scriveva un autore siriaco del IX secolo – la terra è diventata cielo, e quando il Figlio del nostro genere è stato elevato in alto, il cielo è diventato terra. Cielo e terra sono dunque una sola realtà”.

Se ci stacchiamo dalla bellezza e grandezza di Dio, rischiamo di scordare che la missione dei cristiani è proprio dare alla società ciò di cui essa manca. In un’epoca di tenebra, guerra, violenze, pensiamo troppo a disegnare strategie, e invece, chissà, se un ragazzo che ha una mezza idea di fare o farsi del male entrasse in chiesa e sentisse il canto gregoriano… forse il suo cuore si ammorbidirebbe.

L’Oriente ha mantenuto una relazione tra Dio e la vita concreta delle persone che non si piega a una declinazione di soluzioni pastorali e punta piuttosto a dare all’uomo l’acqua sorgiva che zampilla per la vita eterna. Quando gli orientali celebrano, hanno davanti non la politica e la società, ma i Cherubini e i Serafini… E questo è solo apparentemente un volare via dal reale.

Gianandrea Di Donna

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“Abbiate coraggio”

Il mese intensivo che l’Ufficio per la Liturgia ha dedicato alla formazione, in questo inizio del 2025, aveva al centro la sfida, impegnativa perché molto concreta, di esplorare per la prima volta la questione dei ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista. Il Papa Francesco, in linea con gli spunti dati già da san Paolo VI nel 1974, l’ha affidata alle Chiese locali, chiedendo che vengano individuate tra i laici persone che, dopo aver acquisito le competenze necessarie, accettino di porsi in modo stabile a servizio delle Diocesi. I ministri ordinati – vescovo, presbiteri e diaconi – potranno richiedere il loro aiuto in vari ambiti, non ultimo quello della promozione e cura dei ministeri battesimali su cui faranno affidamento le parrocchie del futuro prossimo. È una novità e quindi va presentata, interrogata, capita, soppesata, gestita con delicatezza, ma anche amata, trattata con un sì nel cuore, di obbedienza e di speranza.

Abbiamo ascoltato questo sì dalle labbra dell’Arcivescovo di Torino, il Cardinal Roberto Repole, che ha portato la sua esperienza di pastore e teologo attento e generoso, della professoressa Emanuela Buccioni, che lo ha individuato tra le righe della Sacra Scrittura, del Reverendo Giuseppe Como, vicario episcopale dell’Arcidiocesi di Milano, che ha spiegato come la sua Chiesa si sia mossa prontamente, in obbedienza al Papa, per formare i primi candidati ai ministeri istituiti. E a questo sì siamo stati invitati con magnifica autorevolezza dal Prefetto del Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, il Cardinal Arthur Roche. Nel contesto familiare di Casa Madonnina, dove è stato ospitato come un pellegrino del Vangelo, ci ha rivolto parole che non possono non commuoverci e riempirci di forza: “Vi esorto ad avere coraggio, proprio voi che – figli di questa Chiesa di Dio che è in Padova – siete gli eredi di una tradizione cristiana lunga, forte e illuminata: siete gli eredi di San Prosdocimo e della martire Giustina; avete conosciuto l’ardimento del Doctor evangelicus Sant’Antonio di Padova, la genialità pastorale di San Gregorio Barbarigo; voi custodite le spoglie mortali dell’Evangelista della misericordia San Luca. I vostri Vescovi hanno inviato, tra i primi nel mondo, i missionari fidei donum; avete la grazia delle opere della Carità, quali l’Opera della Provvidenza Sant’Antonio, la Casa Madre Teresa di Calcutta, le Cucine economiche popolari per i più poveri; custodite preziosi tesori d’arte come il Battistero della Cattedrale e luoghi straordinari dove si sono celebrati e si celebrano i divini misteri; la vostra Biblioteca Capitolare conserva il Sacramentario Paduense, testimone della ricchezza straordinaria dell’epoca d’oro della Liturgia romana di Papa Gregorio Magno. Vi esorto, unitamente alle Diocesi che hanno avviato il processo di discernimento, formazione e istituzione di lettori, accolti e catechisti, a iniziare. La Chiesa ne ha bisogno!”

La storia mostra quanto sia stato importante, all’epoca della prima evangelizzazione, l’apporto di coloro che nelle comunità cristiane svolgevano il ministero di “maestri”, “lettori”, “accoliti”. I laici accoglievano il giogo soave e liberante del servizio in mezzo alle difficoltà più drammatiche, e così la fede nel Signore conquistava i popoli. Oggi le fatiche sono di segno opposto – l’indifferenza e l’aridità critica –, ma la risposta non può che essere chinarsi con slancio a lavare i piedi dei fratelli, correre con slancio a dare aiuto ai bisognosi, annunciare con slancio la vittoria della Croce sul male e sulla morte, accostarsi con slancio all’altare. Mostrare come questa sia l’unica scelta di vita ‘logica’, per un giovane in cerca di orientamento e per un vecchio in cerca di un orizzonte, per gli sposi e i genitori, i sani e i malati, i poveri e i ricchi, i reietti e i potenti, perché in un istante la nostra sicurezza materiale può venire meno, mentre tutto ciò che si fa per amore di Cristo e della sua Chiesa è speranza vera, abbondanza di vita, salvezza. Tutto: anche i nostri umani fallimenti.

Percorrere nei vari incontri l’ampio territorio diocesano, da Quero a Solesino, da Asiago a Strà, ha dato modo di riconoscere segni incoraggianti e problemi da affrontare. Uno tra tutti: la crisi del sacramento del Matrimonio, che rischia di essere accolta con rassegnazione. La sfida invece resta aperta, con la proposta, in marzo, di un breve corso in due date (in collaborazione con l’Ufficio di Pastorale della Famiglia) sulla celebrazione delle Nozze cristiane.

Anna Valerio

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