CELEBRARE
IL “MISTERO GRANDE”
DELL’AMORE
a cura dell’Ufficio per la Liturgia
Come Eva fu tratta da Adamo, nel primo giardino della creazione, il sacramento del Matrimonio fa sì che dal nuovo Adamo, Cristo crocifisso e risorto, dal fianco di quello Sposo, esca come oceano incontenibile la nuova Eva. La luce che avvolge gli sposi cristiani non sgorga da loro, ma è nascosta dentro il fianco squarciato del Signore Gesù Cristo. Se nel fulgore della bellezza degli sposi non cogliamo il rimando a colui che ne è l’autore, ci smarriamo. Vederli fedeli, uniti indissolubilmente e fecondi ci permette di riconoscere la nostra origine: noi siamo le nozze di Dio con la creazione. E per questo non si possono fare raccomandazioni di sapore mondano agli sposi, ma bisogna implorarli di una sola cosa: che non escano mai, nella loro esistenza, dal giardino del Crocifisso risuscitato, che restino in quel giardino, perché lì c’è la vita vera. Che non si lascino sedurre dai figli del mondo, ma rimangano ai piedi della croce. Lì è nato il loro Matrimonio, come un frutto dolce, splendente e buono.
Il rito delle nozze nella storia
Nell’epoca precostantiniana, il Matrimonio cristiano non prevedeva forme rituali particolari. I fedeli si servivano delle usanze del tempo, consci però del fatto che si sposavano “nel Signore”.
Già a partire dal IV secolo, le Nozze cristiane assumono una struttura più propriamente rituale. In quest’epoca, si registra il dato di grande rilievo di una prima relazione del Matrimonio con l’Eucaristia.
Dall’epoca carolingia in poi, il Matrimonio comincia a essere celebrato davanti alla chiesa, con grande carattere pubblico. Il Rituale Romanum del Concilio di Trento prevede il consenso di fronte al ministro sacro, la benedizione e la consegna dell’anello, e infine la possibilità di celebrare, al termine del rito del Matrimonio, una Missa pro sponsis.
Il Rituale Romano del 1975 e il vigente del 2004 (in maniera ancora più pronunciata) esprimono una radicale novità, riconoscendo e sottolineando la relazione intrinseca che c’è tra Matrimonio ed Eucaristia. Si comincia a parlare infatti de Il Sacramento del Matrimonio durante la Messa, per arrivare, nel 2004, a Il Rito del Matrimonio nella Celebrazione Eucaristica.
Matrimonio ed Eucaristia
L’alleanza tra Dio e il suo popolo, manifestatasi pienamente nell’amore di Cristo per la Chiesa, è stata frequentemente descritta attraverso la suggestiva immagine biblica e patristica della sponsalità. Questa relazione tra l’Agnello crocifisso-risorto e la Chiesa-sposa dice come è pensato “in Cristo” il rapporto tra uomo e donna.
Quando, nel 1975, e con maggiore consapevolezza nel 2004, si fa la scelta di celebrare le Nozze cristiane “nella Messa”, non è per offrire una semplice “cornice eucaristica”, né per concedere agli sposi la possibilità di “fare la Comunione dopo il loro Matrimonio” per chiedere a Dio le grazie necessarie. Nelle Nozze cristiane avviene la partecipazione sacramentale degli sposi alle nozze mistiche di Cristo con la Chiesa, al suo “dare la vita” per la “diletta sposa”. Solo per mezzo dell’inserzione nell’amore pasquale del Signore marito e moglie possono evitare di cadere nelle innumerevoli insidie della nostra fragilità. Gli sposi assumono la forma che Cristo ha assunto su di sé, “fino a dare la vita”, “tutta” la vita per amore, ed è la grazia sacramentale a permettere loro di avere la forza di ascoltare la chiamata evangelica a vivere l’uno per l’altro.
L’una caro, l’unità corporeo-sessuale che il sacramento del Matrimonio realizza, ha nell’unione Cristo-Chiesa il fondamento. La Chiesa, infatti, per mezzo del Vangelo e dei sacramenti (specie il sacramentum magnum dell’Iniziazione: Battesimo-Cresima-Eucaristia) diviene concorporea a Cristo.
Due modelli rituali
Sulla base della scelta conciliare di porre in stretta relazione Eucaristia e Matrimonio, arrivando a fare dell’Eucaristia stessa il modello ermeneutico del Matrimonio cristiano, gli adattamenti e le novità introdotte nel 2004 donano una maggiore ricchezza alla sua Liturgia. La serietà della riforma sta soprattutto nei due modelli celebrativi proposti: il Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica e il Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola [di Dio], quest’ultimo secondo una duplice articolazione (tra battezzati e tra una parte cristiana e l’altra catecumena o non battezzata).
La scelta di un cambiamento così significativo affonda le radici in importanti motivazioni di ordine pastorale. C’è un numero sempre crescente di coppie di futuri sposi per le quali Cristo, la fede e la Chiesa non sono il centro della loro vita, ma si pongono solo “all’orizzonte”. In ragione di ciò, il rito del 2004 si propone di offrire una “flessibilità liturgica”, che risulti proporzionata alla reale situazione di fede dei nubendi.
Il “Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica” dice una scelta di fede già compiuta. Come conseguenza pastorale e simbolico-rituale, sarà fondamentale far emergere nella celebrazione la “centralità” della Comunione eucaristica sotto le due Specie (Corpo e Sangue) da parte degli sposi quale “simbolo” dell’amore sponsale tra Cristo e la Chiesa, ricevuto in dono e assunto come impegno dell’amore che saranno invitati a vivere.
Il “Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola [di Dio]” è più adeguato a una coppia che si pone in via di rinnovata iniziazione cristiana. Attraverso il linguaggio dei segni, il rito orienta gli sposi verso quella più profonda e consapevole adesione a Cristo e alla Chiesa che ancora non sono in grado di vivere pienamente, facendo emergere la centralità della Parola di Dio come esperienza dell’“ascolto” capace di generare una rinnovata relazione con il Signore. Il vertice simbolico sarà pertanto, anziché la Comunione eucaristica, la consegna ritualizzata della Sacra Scrittura. Non come una specie di “regalo” spirituale, bensì come viatico per il cammino previsto dal loro nuovo stato di vita insieme e simbolo della loro ricerca-ascolto di Dio.
Una pastorale nella verità
La scelta del rito è un prezioso atto di libertà. La fatica pastorale che si impone è sollecitare la responsabilità dei nubendi rispetto al tipo di celebrazione, al fine che la intendano come espressione coerente della verità di come vivono. Vanno aiutati a non avere timore di mostrare a quale profondità si collochi la loro appartenenza ecclesiale e a non avere paura di apparire agli occhi di qualcuno come “poco credenti”. È importante che i pastori non temano di usare entrambi i modelli rituali e compito di chi guida gli incontri di preparazione è cercare di far affiorare un’autentica confessio vitæ et fidei dei fidanzati, che faccia da indicatore di direzione.
La presentazione del rito, frequentemente collocata al termine dei percorsi formativi, come coronamento e completamento dell’annuncio cristiano sul Matrimonio, necessita di un ricollocamento. Le diverse possibilità rituali sarebbe opportuno che diventassero la provocazione di avvio, con la quale stimolare la coppia a interrogarsi sul perché della volontà di “sposarsi in chiesa”.
Il Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica
Il “Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica” si articola in cinque parti.
1. Riti di introduzione
Vengono proposte due forme di accoglienza e ingresso degli sposi. Molto interessante è la prima (la più innovativa), nella quale traspare la teandricità, il carattere divino-umano dei “riti di accoglienza”.
I nubendi attendono con le rispettive famiglie e amici e, presso le porte della chiesa – cioè “fuori” dal luogo sacro, ma anche “nel mondo” –, ri-simbolizzano il loro incontro attraverso una condivisione dello stesso con i loro cari. Gli sposi “uniscono” non solo la propria vita, ma anche la vita, la storia, gli affetti delle rispettive famiglie, degli amici e conoscenti, permettendo che avvenga un “incontro” che, anche se non è certamente il primo cronologicamente parlando, è forse tra i più intensi dal punto di vista simbolico. Questa accoglienza, dal sapore prettamente umano, affettivo, “orizzontale”, si va a intersecare con l’accoglienza che Dio riserva agli sposi, manifestata e ritualizzata dalla presenza e dal saluto cordiale del ministro ordinato alle porte della chiesa. La coppia è accolta da Dio nella propria casa, perché egli faccia dei due una cosa sola e la loro esistenza e la loro storia sia raccolta in unità e trasfigurata dalla grazia. Questa “seconda” accoglienza – più interiore, spirituale, “verticale” – impegna la Chiesa stessa nella comunione invisibile con tutti i suoi figli. Il gesto di accogliere gli sposi e le rispettive famiglie e di salutarli presso le porte della chiesa potrebbe poi, ministerialmente, dilatarsi alla coppia, la quale a sua volta è invitata a salutare cordialmente, in parallelo con il saluto del celebrante, i convenuti, ricordando la storia del proprio amore e il perché della scelta di sposarsi nel Signore Gesù Cristo.
Segue l’ingresso degli sposi che, nello svolgersi della processione fino all’altare, accompagnati dai genitori e dai testimoni, mostrano la tensione-orientamento della loro esistenza a Cristo, il loro amore-venerazione a Cristo (l’altare è venerato) e la loro disposizione ad ascoltarlo (si collocano “ai piedi” dello stesso altare).
La seconda forma dei riti di accoglienza ricalca il cliché più classico dell’ingresso solenne della sposa e rischia di scivolare verso modelli più stereotipati. Quel padre che dà la figlia al marito potrebbe perfino suggerire nostalgie ‘patriarcali’ (e probabilmente tale era la realtà, nella sua origine storica), oltre a evocare suggestioni da film, da sfilata, da corte regale. L’ingresso insieme dei due sposi dice invece la loro personale scelta cristiana.
La Liturgia nuziale – omettendo l’atto penitenziale – esordisce con una memoria Baptismi, celebrata – “dove è possibile”, recita il n. 55 – presso il fonte battesimale, che viene raggiunto con una processione. Gli sposi cristiani, partecipi in forza del loro Battesimo del mistero pasquale di Cristo crocifisso e risorto, si dispongono a celebrare le Nozze, prima che come impegno, come risposta libera (e liberante) a un amore che, poiché proviene da Dio, li precede. Su questo insistono le tre monizioni iniziali, a scelta del presbitero, che introducono la memoria Baptismi.
Il rito di aspersione, che prende il posto dell’atto penitenziale, si compone di una monizione iniziale, una litania con acclamazione di ringraziamento per il dono sacramentale del Battesimo dinanzi all’acqua benedetta; infine l’aspersione, di chiara impostazione trinitaria e pasquale, dei nubendi e di tutta l’assemblea, mentre si esegue un’antifona adatta.
Al canto del Gloria, divenuto elemento essenziale della Messa per gli sposi, segue l’Orazione colletta,che chiude i riti di introduzione.
2. Liturgia della Parola
L’apprezzabilissimo Lezionario per il sacramento del Matrimonio dispone di un’ampia collezione di pericopi bibliche tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Se permane il criterio di adottare tutti i brani biblici che si riferiscono direttamente alle nozze nell’Antico e nel Nuovo Testamento, di notevole interesse è la scelta di testi che hanno la capacità di illuminare il “mistero grande” (cfr. Ef 5,32) non solo dell’amore umano ma anche della rivelazione cristiana.
La Liturgia della Parola, al termine della proclamazione del Vangelo, estende agli sposi – eccezione assoluta per i ministri non ordinati – la venerazione dell’Evangeliario, visibilizzazione sacramentale della presenza del Risorto che parla alla Chiesa, prevedendo anche per essi il bacio liturgico del libro. Questo “gesto” rituale si pone come atto di fede nella presenza reale di Cristo, cioè di ascolto della sua Parola, che illuminerà i momenti “cruciali” dell’esistenza degli sposi, e impegno a vivere e testimoniare la ministerialità sponsale in obbedienza al Vangelo. Il bacio allude anche a un amore a Cristo che precede, fonda e sostiene quello tra gli sposi.
3. Liturgia del Matrimonio
La Liturgia del Matrimonio esordisce con le interrogazioni prima del consenso. Si possono formulare secondo il modello classico dell’“interrogazione”, o secondo la nuova forma della “dichiarazione” contemporaneamente espressa dai nubendi.
Segue la manifestazione del consenso, accompagnato dall’antichissimo gesto della dexterarum junctio. Esso si rafforza con l’indicazione di rivolgersi l’uno verso l’altro, passando dalla posizione rivolta all’altare, che è Cristo, allo sguardo verso il coniuge.
Il consenso prevede tre forme.
La prima – oltre alla sostituzione del verbo “prendere” con il più esistenzialmente ricco “accogliere” – raccorda meglio le espressioni del libero e maturo impegno umano (“prometto di esserti fedele sempre…”) con l’azione gratuita di Dio, tramite la felice espressione “con la grazia di Cristo”, chiara allusione al primato della grazia sul consenso sacramentale.
Una seconda forma prevede una reciproca interrogazione tra sposo e sposa, di vago sapore biblico, che si chiude con un consenso “a una voce”, espressione lirica del mistero nuziale dell’una caro. L’espressione “con la grazia di Dio”, anche nella seconda forma, interagisce teandricamente con il libero impegno umano.
È prevista ancora una terza forma, tutta interrogativa, utile nei casi in cui sia difficile o impossibile l’esposizione di un testo prolungato, per balbuzie, analfabetismo, cecità…
Chiude questa sezione l’accoglienza del consenso, con il “ricuperato” gesto da parte del presbitero di stendere la mano sulle mani unite degli sposi.
La benedizione e consegna degli anelli vede il presbitero consegnare gli anelli agli sposi.
È data la possibilità di arricchire i riti esplicativi, dando alla Liturgia maggior forza simbolica ed espressività, con l’incoronazione degli sposi. Essi sono il nuovo Adamo e la nuova Eva, che hanno raggiunto il “coronamento-completamento” dell’esistenza l’uno nell’altro. L’uno è divenuto “causa” e “ragione” di salvezza (cioè corona di eternità) dell’altro, come fosse avvenuta una dedicazione dell’uno all’altro.
È possibile collocare a questo punto la solenne benedizione nuziale. L’anticipazione della benedizione viene motivata da una riscoperta pneumatologia del rito, situando entro la “Liturgia del Matrimonio” un’“epiclesi nuziale”.
È possibile accompagnare la solenne benedizione con il rito dell’imposizione del velo sugli sposi ovelazione. Esso vuole esprimere la “comunione di vita che lo Spirito, avvolgendoli con la sua ombra, dona loro di vivere”. Questo gesto, carico di suggestione, esprime una dilatazione simbolico-rituale rispetto all’ancor troppo frequente uso dell’“asciutta” formula di consenso. Il velo è memoria del nimbo, della nube di cui Dio è avvolto e segno dell’epiclesi dello Spirito Santo-Amore sugli “amanti”.
La consueta preghiera dei fedeli – presentata secondo il modello esemplare di poche e brevi invocazioni di stampo litanico – si prolunga in una significativa invocazione (litania) dei santi, intercessione di coloro che vissero santamente-fedelmente nel Matrimonio, segno di comunione ecclesiale, di protezione celeste, nonché anticipazione della comunione escatologica cui tende e si proietta la Liturgia cristiana.
Quando è prescritto, si fa la Professione di fede.
4. Liturgia eucaristica
Si svolge come di consueto ed è integrata dall’invito agli sposi a portare all’altare i santi doni del pane e del vino, segno della strettissima relazione tra Matrimonio ed Eucaristia.
L’esortazione, all’Offertorio, a raccogliere le offerte per “particolari situazioni di povertà” è l’ennesimo richiamo alla più autentica vocazione dell’offertorium romano, sintesi mirabile tra la caritas e il sacrificium di Cristo – sacramentalmente presente nei santi Doni consacrati – e la caritas e il sacrificium fidelium, esistenzialmente presente nell’offerta di sé e nelle oblate (in senso ampio) per i fratelli più poveri. Le due “offerte” si completano e si fondano reciprocamente. Sarebbe perciò auspicabile che gli sposi proponessero una colletta per i poveri, da presentare all’offertorio delle Nozze.
Il rito del Matrimonio ha il proprio vertice simbolico-teologico nella Comunione degli sposi sotto le due Specie. Con questo gesto essi assumono-assimilano il Corpo e il Sangue di Cristo nell’atto supremo di consegnarsi al mondo per amore. Pertanto, ricevendo come nutrimento l’amore divino di Cristo, ottengono la grazia di diventare essi pure capaci di amore fino al dono supremo di sé.
5. Riti di conclusione
Oltre alla benedizione, è questo il momento delle disposizioni concordatarie, lette sempre pubblicamente, e della sottoscrizione dell’atto di Matrimonio, da potersi fare pubblicamente o in sacrestia (mai sull’altare!).
Un congedo, un po’ verboso a dire il vero, conclude la celebrazione, con l’invio “missionario” e il richiamo alla ministerialità sponsale.
Si suggerisce infine la possibilità di donare agli sposi il libro della Sacra Scrittura.
Il Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola [di Dio].
La seconda forma si articola in quattro parti.
1. Riti di introduzione: analoghi al primo schema, prevedono una ricca memoria del Battesimo. Chiude un’orazione colletta.
2. Liturgia della Parola: con gli stessi principi del primo schema. Si inaugura con una monizione introduttiva e si chiude con il bacio di venerazione dell’Evangeliario da parte degli sposi.
3. Liturgia del Matrimonio: prevede uno schema celebrativo analogo al primo, anche se più semplice. Si compone di alcune parti per le quali valgono i principi interpretativi già sopra menzionati:
- Interrogazioni
- Consenso
- Benedizione degli anelli
- Benedizione nuziale
- Preghiera dei fedeli e preghiera del Signore
- Interessante l’introduzione della consegna ritualizzata della Bibbia. La celebrazione del Matrimonio ha lì il suo culmine celebrativo rituale. La Parola di Dio diventa il dono più grande ricevuto dagli sposi, in vista dell’impegno a proseguire l’itinerario di fede.
4. Riti di conclusione, che si articolano in:
- Benedizione
- Disposizioni concordatarie e sottoscrizione dell’atto di Matrimonio
L’esercizio della ministerialità
Un carattere che è fondamentale riconoscere nel rito del Matrimonio è la diffusa ministerialità che richiede.
Gli sposi, tramite il patto coniugale che liberamente si scambiano, sono evidentemente i soggetti primi.
Il presbitero (talora il Vescovo o il diacono), esercitando un’azione deprecativa (epicletica) sugli sposi, si pone come il soggetto attivo di una ministerialità deputata a celebrare la forza trasformante dell’agire sacramentale di Dio.
I lettori, ministri dell’annuncio di salvezza dello Sposo divino alla Chiesa, sua diletta Sposa, esercitano un servizio di tipo profetico, manifestando l’epifania della presenza di Cristo nella sua Parola. Un ministero, dunque, che non può essere relegato all’improvvisazione dell’ultimo momento, né ai semplici criteri “di amicizia”.
I cantori, il salmista, i musicisti. È necessario pensare al canto nella Liturgia nuziale come a un “linguaggio della fede celebrata”, appartenente alla natura stessa del rito cristiano, rifuggendo dalla logica della mera solennizzazione e dello sfarzo. I brani da eseguire vanno concordati tra presbitero, sposi, cantori e musicisti, perché siano in profonda unità con il rito nuziale, espressione coerente e consapevole del mistero celebrato.
Di grande problematicità pastorale è la creazione di un repertorio di canti appropriati al rito delle Nozze. Andrebbe assolutamente rivista la prassi di usare canti tratti dalle grandi arie di noti compositori, tradizionalmente approdati al “Matrimonio in chiesa”. L’aspetto problematico di questa consuetudine non riguarda tanto il “genere musicale” dei brani, né il fatto che sia un cantore a eseguirli, quanto piuttosto la modalità con cui ciò avviene. La Liturgia mal sopporta solisti in atteggiamento da palcoscenico. Vuole avvalersi di cantori che, in atteggiamento orante, elevino potentemente gli animi a Dio ed esprimano con il canto la supplica, l’adorazione, la profondità del mistero. L’ambito rituale nel quale intervenire, concordato in anticipo, il loro posto nell’aula liturgica, l’uso del microfono, l’abbigliamento saranno pertanto orientati a tale scopo. È quasi superfluo ricordare come la scelta dei brani debba attingere solo al repertorio strettamente cristiano e sacro. Il canto “romantico” o poetico dell’amore umano non trova collocazione in un’autentica Liturgia cristiana.
Gli accoliti e i ministranti assumono l’ufficio di ministri dell’altare, il cui compito è di affiancare sposi e presbitero per tutte le mansioni, anche pratiche, riguardanti la proprietà dell’allestimento – scevro da ogni barocchismo e cerimoniosità –, la ritualità diffusa (l’incenso, i ceri, la preparazione dell’altare, i libri liturgici…), l’uso dei segni e delle suppellettili fondamentali (l’Evangeliario, i vasi sacri, le corone, il velo, gli anelli, i fiori…), elementi necessari all’espressività simbolico-rituale, pena l’appiattimento sul solo codice verbale. La funzione dei ministranti potrebbe essere anche utile per recuperare nella celebrazione delle Nozze l’uso dello spazio: si pensi alla statio fuori dalla chiesa; alle processioni al fonte battesimale, all’ambone e durante la presentazione dei doni; alla collocazione degli sposi nell’aula liturgica durante la benedizione e le altre preghiere; alla presenza distribuita nello spazio circostante dei ministri ordinati, dei testimoni, dei parenti, della schola cantorum, di eventuali musicisti; alla collocazione non “cerimoniale” di banchi, ceste di fiori, sedili, microfoni, drappi, dettagli certamente marginali ma che, per il loro aspetto funzionale o decorativo, se usati male possono trasformarsi in goffi apparati o ostacoli visivi nell’aula.
Alcuni suggerimenti pratici
La coronazione e la velazione
I due riti esplicativi facoltativi – la coronazione e la velazione – sono contigui. Dopo il consenso, le persone che ne sono state incaricate portano processionalmente le fedi nuziali, le corone e il velo. Si pongono alla destra del sacerdote, che benedice gli anelli e li dà agli sposi per lo scambio, dopo il quale essi si inginocchiano. Il celebrante, tenendo le corone sul loro capo, pronuncia la formula come da Rito del Matrimonio n. 78, quindi le impone su entrambi.
È possibile che siano i fioristi stessi a realizzarle, con una struttura di fil di ferro molto sottile, rivestito di carta e di piccole foglie verdi o, nel caso della sposa, di roselline e altri fiori adatti (non il velo da sposa, che risulta disordinato). In alternativa, si può scegliere la tipica corona orientale, acquistabile online o in alcuni negozi di articoli religiosi. Ci sono anche siti dove la si può trovare in forma di fascetta: un piccolo circulus, molto elegante, di argento dorato.
Il velo, fatto di stoffa leggera (tendenzialmente il tulle), dev’essere grande, in modo da coprire sposo, sposa e sacerdote: almeno quattro metri per due. Può essere anche – come esemplarmente si fa in Sicilia – abbellito e ricamato. Dal punto di vista pratico, quando viene imposto al termine della solenne benedizione degli sposi, lo si fissa all’acconciatura di lei, o con un pettine già predisposto sul lato corto, qualora voglia lo strascico, oppure sul lato lungo, se preferisce una foggia più sobria.
Sarebbe bene che fosse una donna, per la grazia necessaria in questo frangente, a porgere ai testimoni e ai genitori il velo, che viene aperto e steso mentre quattro persone lo reggono agli angoli. Gli sposi sono in ginocchio e glielo si fa scorrere sopra il capo, in modo che si formi così la huppah. Il sacerdote entra sotto il velo e lì canta – o almeno recita – la solenne preghiera di benedizione. Poi lo sposo si alza e, se lo desidera, si toglie la corona. La sposa resta in ginocchio e, liberato il capo, si fa mettere da un’amica o una testimone il velo, fissandolo sulla pettinatura acconciata, quindi il sacerdote ci rimette sopra la corona. Questo è il momento in cui, mentre la schola fa un canto di esultanza, gli sposi possono salutare i genitori e i testimoni, invece che approfittare dello scambio di pace, che dovrebbe mantenersi sobrio e composto, senza gente che gira per la chiesa raggiungendo parenti e amici.
Alla litania d’intercessione con le invocazioni dei santi segue, se è domenica, il Credo, e infine l’offertorio, con il pane e il vino portati dagli sposi all’altare.
I fiori
Non ci sono norme precise da rispettare per quanto riguarda colori e tipologie. Ciò che va evitato è che il fiorista addobbi la chiesa puntando a creare un’ambientazione, con candele sui gradini, lampade, torce, lucerne, vasi, cascate di fiori, petali per terra… Gli organizzatori dei Matrimoni chiedono spesso agli sposi di acquistare il pacchetto completo dei servizi, per cui i fiori per la chiesa vengono poi trasferiti al banchetto nuziale, dimenticando che l’arredo di un luogo sacro ha una vocazione diversa rispetto all’estetica di un centrotavola da banchetto nuziale.
I fiori, nella Liturgia, hanno lo scopo di dare lode a Dio e di ornare le due eminenzialità: altare e ambone (anche il fonte battesimale, se ci si reca lì per fare la memoria del Battesimo). I fioristi non devono esagerare nel riempire il prebiterio di ammassi di piante, che entrano nella logica dell’ambientazione. È preferibile piuttosto un segno floreale lungo i banchi della chiesa.
Il sussidio liturgico
Non vanno scaricati da internet. L’ideale sarebbe che ogni prete avesse un file word con l’ossatura fondamentale del rito, e le parti facoltative segnate in rosso, da girare alla coppia.
Il sussidio liturgico (libretto) ha bisogno che si faccia preliminarmente la scelta delle letture; per questo va consegnato agli sposi, all’inizio del corso di preparazione al Matrimonio, il pdf scaricabile della CEI con il Lezionario. Così, nei mesi che precedono la celebrazione, possono leggersi le poco più che ottanta pericopi tra Antico e Nuovo Testamento per scegliere le più adatte, e questo varrebbe per loro da importante itinerario spirituale. Bisogna solo stare attenti a individuare letture conformi ai tempi dell’anno liturgico. Le coppie vanno informate che in Avvento e Quaresima i Matrimoni è fatto divieto di celebrare solennemente le Nozze, in ragione del clima penitenziale, e che, qualora si decidesse per un sabato del Tempo di Pasqua, dopo le 16 è necessario usare letture ed eucologia delle domeniche di Pasqua. Invece, se la celebrazione avviene prima delle 16, si possono scegliere nel Lezionario del Matrimonio tra quelle indicate per il Tempo di Pasqua.
Si eviti di fare libretti a metà, dove manca la parte eucaristica. O c’è tutto, o meglio limitarsi a un foglio con i canti. In copertina sarebbe importante che la dicitura fosse: “Celebrazione eucaristica con il rito del Matrimonio di…” o “Celebrazione della Parola di Dio con il rito del Matrimonio di…”, non “Luca e Francesca sposi” o “Luca e Francesca 2025”, scelte emotivo-affettive improprie. Non stiamo celebrando loro, ma l’Eucaristia e la Parola di Dio; e nel corso della Pasqua del Signore avviene il Matrimonio di Luca e Francesca.
La fattura del libretto sia semplice: basta una spillatura, senza costosi nastri. Le immagini dovrebbero uscire dagli stereotipi, evitando tramonti, fedi incrociate e colombine che si baciano. Piuttosto, si cerchi una raffigurazione di Cristo e Maria, o una fotografia della chiesa parrocchiale, metafora della Chiesa sposa di Cristo e segno del luogo che accoglie la coppia.
I canti rituali e la musica
È sempre difficile trovare un’assemblea che canti nel corso dei Matrimoni, per cui un coro (anche di poche persone) risulta molto utile. Si abbia cura che non manchino almeno i canti del Gloria, del Salmo responsoriale, dell’Alleluja, del Santo e dell’Agnello di Dio, in dialogo con l’assemblea per quanto è possibile. Il resto può essere affidato al coro, purché si vietino i brani che non hanno nulla a che fare con la fede.
Si tenga in debito conto l’Appendice musicale che sta nel Rito del Matrimonio 2004 (pp. 131-138), in cui sono presenti i canti rituali del celebrante in dialogo con il coro e l’assemblea. Specie la memoria del Battesimo e la bella benedizione degli sposi (accompagnata possibilmente dalla velazione) in dialogo con la schola e l’assemblea.
Le fotografie e i video
Il Diritto canonico prescrive che «nel luogo sacro sia consentito solo quanto serve all’esercizio e alla promozione del culto, della pietà, della religione» (CJC can. 1210). In questa prospettiva, è necessario che l’intervento dei fotografi nel contesto della Liturgia venga concordato con il rettore della chiesa in cui si svolge la celebrazione, che ne è il responsabile (cfr. IGMR 73).
È bene definire in precedenza (non immediatamente prima delle celebrazioni) le modalità esecutive del servizio fotografico, magari identificando una o più postazioni fisse (secondo la configurazione architettonica delle singole chiese) dalle quali fare le riprese. Gli spostamenti necessari devono essere sobri e discreti, evitando attraversamenti del presbiterio.
La Liturgia della Parola e la Preghiera eucaristica impongono un assoluto rispetto e sono momenti in cui non vanno fatti scatti o riprese.
L’uso del flash andrebbe evitato, o almeno ridotto al minimo indispensabile, e se c’è bisogno di accendere o spegnere lampade di elevata intensità, ciò non va fatto in maniera brusca. Si provveda piuttosto a un’illuminazione supplementare dell’ambiente fin dall’inizio della celebrazione.
Si cerchi di assicurare discrezione nei gesti, silenziosità nei movimenti, decoro nell’abbigliamento, garantendo un atteggiamento sempre consono al contesto.
Al termine delle celebrazioni è consentita una maggiore libertà, salvo sempre il rispetto dovuto al luogo sacro.