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Celebrare il “mistero grande” dell’amore

 

 

CELEBRARE
IL “MISTERO GRANDE”
DELL’AMORE

 a cura dell’Ufficio per la Liturgia

 

Come Eva fu tratta da Adamo, nel primo giardino della creazione, il sacramento del Matrimonio fa sì che dal nuovo Adamo, Cristo crocifisso e risorto, dal fianco di quello Sposo, esca come oceano incontenibile la nuova Eva. La luce che avvolge gli sposi cristiani non sgorga da loro, ma è nascosta dentro il fianco squarciato del Signore Gesù Cristo. Se nel fulgore della bellezza degli sposi non cogliamo il rimando a colui che ne è l’autore, ci smarriamo. Vederli fedeli, uniti indissolubilmente e fecondi ci permette di riconoscere la nostra origine: noi siamo le nozze di Dio con la creazione. E per questo non si possono fare raccomandazioni di sapore mondano agli sposi, ma bisogna implorarli di una sola cosa: che non escano mai, nella loro esistenza, dal giardino del Crocifisso risuscitato, che restino in quel giardino, perché lì c’è la vita vera. Che non si lascino sedurre dai figli del mondo, ma rimangano ai piedi della croce. Lì è nato il loro Matrimonio, come un frutto dolce, splendente e buono.

 

Il rito delle nozze nella storia

Nell’epoca precostantiniana, il Matrimonio cristiano non prevedeva forme rituali particolari. I fedeli si servivano delle usanze del tempo, consci però del fatto che si sposavano “nel Signore”.

Già a partire dal IV secolo, le Nozze cristiane assumono una struttura più propriamente rituale. In quest’epoca, si registra il dato di grande rilievo di una prima relazione del Matrimonio con l’Eucaristia.

Dall’epoca carolingia in poi, il Matrimonio comincia a essere celebrato davanti alla chiesa, con grande carattere pubblico. Il Rituale Romanum del Concilio di Trento prevede il consenso di fronte al ministro sacro, la benedizione e la consegna dell’anello, e infine la possibilità di celebrare, al termine del rito del Matrimonio, una Missa pro sponsis.

Il Rituale Romano del 1975 e il vigente del 2004 (in maniera ancora più pronunciata) esprimono una radicale novità, riconoscendo e sottolineando la relazione intrinseca che c’è tra Matrimonio ed Eucaristia. Si comincia a parlare infatti de Il Sacramento del Matrimonio durante la Messa, per arrivare, nel 2004, a Il Rito del Matrimonio nella Celebrazione Eucaristica.

 

Matrimonio ed Eucaristia

L’alleanza tra Dio e il suo popolo, manifestatasi pienamente nell’amore di Cristo per la Chiesa, è stata frequentemente descritta attraverso la suggestiva immagine biblica e patristica della sponsalità. Questa relazione tra l’Agnello crocifisso-risorto e la Chiesa-sposa dice come è pensato “in Cristo” il rapporto tra uomo e donna.

Quando, nel 1975, e con maggiore consapevolezza nel 2004, si fa la scelta di celebrare le Nozze cristiane “nella Messa”, non è per offrire una semplice “cornice eucaristica”, né per concedere agli sposi la possibilità di “fare la Comunione dopo il loro Matrimonio” per chiedere a Dio le grazie necessarie. Nelle Nozze cristiane avviene la partecipazione sacramentale degli sposi alle nozze mistiche di Cristo con la Chiesa, al suo “dare la vita” per la “diletta sposa”. Solo per mezzo dell’inserzione nell’amore pasquale del Signore marito e moglie possono evitare di cadere nelle innumerevoli insidie della nostra fragilità. Gli sposi assumono la forma che Cristo ha assunto su di sé, “fino a dare la vita”, “tutta” la vita per amore, ed è la grazia sacramentale a permettere loro di avere la forza di ascoltare la chiamata evangelica a vivere l’uno per l’altro.

L’una caro, l’unità corporeo-sessuale che il sacramento del Matrimonio realizza, ha nell’unione Cristo-Chiesa il fondamento. La Chiesa, infatti, per mezzo del Vangelo e dei sacramenti (specie il sacramentum magnum dell’Iniziazione: Battesimo-Cresima-Eucaristia) diviene concorporea a Cristo.

 

Due modelli rituali

Sulla base della scelta conciliare di porre in stretta relazione Eucaristia e Matrimonio, arrivando a fare dell’Eucaristia stessa il modello ermeneutico del Matrimonio cristiano, gli adattamenti e le novità introdotte nel 2004 donano una maggiore ricchezza alla sua Liturgia. La serietà della riforma sta soprattutto nei due modelli celebrativi proposti: il Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica e il Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola [di Dio], quest’ultimo secondo una duplice articolazione (tra battezzati e tra una parte cristiana e l’altra catecumena o non battezzata).

La scelta di un cambiamento così significativo affonda le radici in importanti motivazioni di ordine pastorale. C’è un numero sempre crescente di coppie di futuri sposi per le quali Cristo, la fede e la Chiesa non sono il centro della loro vita, ma si pongono solo “all’orizzonte”. In ragione di ciò, il rito del 2004 si propone di offrire una “flessibilità liturgica”, che risulti proporzionata alla reale situazione di fede dei nubendi.

Il “Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica” dice una scelta di fede già compiuta. Come conseguenza pastorale e simbolico-rituale, sarà fondamentale far emergere nella celebrazione la “centralità” della Comunione eucaristica sotto le due Specie (Corpo e Sangue) da parte degli sposi quale “simbolo” dell’amore sponsale tra Cristo e la Chiesa, ricevuto in dono e assunto come impegno dell’amore che saranno invitati a vivere.

Il “Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola [di Dio]” è più adeguato a una coppia che si pone in via di rinnovata iniziazione cristiana. Attraverso il linguaggio dei segni, il rito orienta gli sposi verso quella più profonda e consapevole adesione a Cristo e alla Chiesa che ancora non sono in grado di vivere pienamente, facendo emergere la centralità della Parola di Dio come esperienza dell’“ascolto” capace di generare una rinnovata relazione con il Signore. Il vertice simbolico sarà pertanto, anziché la Comunione eucaristica, la consegna ritualizzata della Sacra Scrittura. Non come una specie di “regalo” spirituale, bensì come viatico per il cammino previsto dal loro nuovo stato di vita insieme e simbolo della loro ricerca-ascolto di Dio.

 

Una pastorale nella verità

La scelta del rito è un prezioso atto di libertà. La fatica pastorale che si impone è sollecitare la responsabilità dei nubendi rispetto al tipo di celebrazione, al fine che la intendano come espressione coerente della verità di come vivono. Vanno aiutati a non avere timore di mostrare a quale profondità si collochi la loro appartenenza ecclesiale e a non avere paura di apparire agli occhi di qualcuno come “poco credenti”. È importante che i pastori non temano di usare entrambi i modelli rituali e compito di chi guida gli incontri di preparazione è cercare di far affiorare un’autentica confessio vitæ et fidei dei fidanzati, che faccia da indicatore di direzione.

La presentazione del rito, frequentemente collocata al termine dei percorsi formativi, come coronamento e completamento dell’annuncio cristiano sul Matrimonio, necessita di un ricollocamento. Le diverse possibilità rituali sarebbe opportuno che diventassero la provocazione di avvio, con la quale stimolare la coppia a interrogarsi sul perché della volontà di “sposarsi in chiesa”.

 

Il Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica

Il “Rito del Matrimonio nella celebrazione eucaristica” si articola in cinque parti.

 

1. Riti di introduzione

Vengono proposte due forme di accoglienza e ingresso degli sposi. Molto interessante è la prima (la più innovativa), nella quale traspare la teandricità, il carattere divino-umano dei “riti di accoglienza”.

I nubendi attendono con le rispettive famiglie e amici e, presso le porte della chiesa – cioè “fuori” dal luogo sacro, ma anche “nel mondo” –, ri-simbolizzano il loro incontro attraverso una condivisione dello stesso con i loro cari. Gli sposi “uniscono” non solo la propria vita, ma anche la vita, la storia, gli affetti delle rispettive famiglie, degli amici e conoscenti, permettendo che avvenga un “incontro” che, anche se non è certamente il primo cronologicamente parlando, è forse tra i più intensi dal punto di vista simbolico. Questa accoglienza, dal sapore prettamente umano, affettivo, “orizzontale”, si va a intersecare con l’accoglienza che Dio riserva agli sposi, manifestata e ritualizzata dalla presenza e dal saluto cordiale del ministro ordinato alle porte della chiesa. La coppia è accolta da Dio nella propria casa, perché egli faccia dei due una cosa sola e la loro esistenza e la loro storia sia raccolta in unità e trasfigurata dalla grazia. Questa “seconda” accoglienza – più interiore, spirituale, “verticale” – impegna la Chiesa stessa nella comunione invisibile con tutti i suoi figli. Il gesto di accogliere gli sposi e le rispettive famiglie e di salutarli presso le porte della chiesa potrebbe poi, ministerialmente, dilatarsi alla coppia, la quale a sua volta è invitata a salutare cordialmente, in parallelo con il saluto del celebrante, i convenuti, ricordando la storia del proprio amore e il perché della scelta di sposarsi nel Signore Gesù Cristo.

Segue l’ingresso degli sposi che, nello svolgersi della processione fino all’altare, accompagnati dai genitori e dai testimoni, mostrano la tensione-orientamento della loro esistenza a Cristo, il loro amore-venerazione a Cristo (l’altare è venerato) e la loro disposizione ad ascoltarlo (si collocano “ai piedi” dello stesso altare).

La seconda forma dei riti di accoglienza ricalca il cliché più classico dell’ingresso solenne della sposa e rischia di scivolare verso modelli più stereotipati. Quel padre che dà la figlia al marito potrebbe perfino suggerire nostalgie ‘patriarcali’ (e probabilmente tale era la realtà, nella sua origine storica), oltre a evocare suggestioni da film, da sfilata, da corte regale. L’ingresso insieme dei due sposi dice invece la loro personale scelta cristiana.

La Liturgia nuziale – omettendo l’atto penitenziale – esordisce con una memoria Baptismi, celebrata – “dove è possibile”, recita il n. 55 – presso il fonte battesimale, che viene raggiunto con una processione. Gli sposi cristiani, partecipi in forza del loro Battesimo del mistero pasquale di Cristo crocifisso e risorto, si dispongono a celebrare le Nozze, prima che come impegno, come risposta libera (e liberante) a un amore che, poiché proviene da Dio, li precede. Su questo insistono le tre monizioni iniziali, a scelta del presbitero, che introducono la memoria Baptismi.

Il rito di aspersione, che prende il posto dell’atto penitenziale, si compone di una monizione iniziale, una litania con acclamazione di ringraziamento per il dono sacramentale del Battesimo dinanzi all’acqua benedetta; infine l’aspersione, di chiara impostazione trinitaria e pasquale, dei nubendi e di tutta l’assemblea, mentre si esegue un’antifona adatta.

Al canto del Gloria, divenuto elemento essenziale della Messa per gli sposi, segue l’Orazione colletta,che chiude i riti di introduzione.

 

2. Liturgia della Parola

L’apprezzabilissimo Lezionario per il sacramento del Matrimonio dispone di un’ampia collezione di pericopi bibliche tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Se permane il criterio di adottare tutti i brani biblici che si riferiscono direttamente alle nozze nell’Antico e nel Nuovo Testamento, di notevole interesse è la scelta di testi che hanno la capacità di illuminare il “mistero grande” (cfr. Ef 5,32) non solo dell’amore umano ma anche della rivelazione cristiana.

La Liturgia della Parola, al termine della proclamazione del Vangelo, estende agli sposi – eccezione assoluta per i ministri non ordinati – la venerazione dell’Evangeliario, visibilizzazione sacramentale della presenza del Risorto che parla alla Chiesa, prevedendo anche per essi il bacio liturgico del libro. Questo “gesto” rituale si pone come atto di fede nella presenza reale di Cristo, cioè di ascolto della sua Parola, che illuminerà i momenti “cruciali” dell’esistenza degli sposi, e impegno a vivere e testimoniare la ministerialità sponsale in obbedienza al Vangelo. Il bacio allude anche a un amore a Cristo che precede, fonda e sostiene quello tra gli sposi.

 

3. Liturgia del Matrimonio

La Liturgia del Matrimonio esordisce con le interrogazioni prima del consenso. Si possono formulare secondo il modello classico dell’“interrogazione”, o secondo la nuova forma della “dichiarazione” contemporaneamente espressa dai nubendi.

Segue la manifestazione del consenso, accompagnato dall’antichissimo gesto della dexterarum junctio. Esso si rafforza con l’indicazione di rivolgersi l’uno verso l’altro, passando dalla posizione rivolta all’altare, che è Cristo, allo sguardo verso il coniuge.

Il consenso prevede tre forme.

La prima – oltre alla sostituzione del verbo “prendere” con il più esistenzialmente ricco “accogliere” – raccorda meglio le espressioni del libero e maturo impegno umano (“prometto di esserti fedele sempre…”) con l’azione gratuita di Dio, tramite la felice espressione “con la grazia di Cristo”, chiara allusione al primato della grazia sul consenso sacramentale.

Una seconda forma prevede una reciproca interrogazione tra sposo e sposa, di vago sapore biblico, che si chiude con un consenso “a una voce”, espressione lirica del mistero nuziale dell’una caro. L’espressione “con la grazia di Dio”, anche nella seconda forma, interagisce teandricamente con il libero impegno umano.

È prevista ancora una terza forma, tutta interrogativa, utile nei casi in cui sia difficile o impossibile l’esposizione di un testo prolungato, per balbuzie, analfabetismo, cecità…

Chiude questa sezione l’accoglienza del consenso, con il “ricuperato” gesto da parte del presbitero di stendere la mano sulle mani unite degli sposi.

La benedizione e consegna degli anelli vede il presbitero consegnare gli anelli agli sposi.

È data la possibilità di arricchire i riti esplicativi, dando alla Liturgia maggior forza simbolica ed espressività, con l’incoronazione degli sposi. Essi sono il nuovo Adamo e la nuova Eva, che hanno raggiunto il “coronamento-completamento” dell’esistenza l’uno nell’altro. L’uno è divenuto “causa” e “ragione” di salvezza (cioè corona di eternità) dell’altro, come fosse avvenuta una dedicazione dell’uno all’altro.

È possibile collocare a questo punto la solenne benedizione nuziale. L’anticipazione della benedizione viene motivata da una riscoperta pneumatologia del rito, situando entro la “Liturgia del Matrimonio” un’“epiclesi nuziale”.

È possibile accompagnare la solenne benedizione con il rito dell’imposizione del velo sugli sposi ovelazione. Esso vuole esprimere la “comunione di vita che lo Spirito, avvolgendoli con la sua ombra, dona loro di vivere”. Questo gesto, carico di suggestione, esprime una dilatazione simbolico-rituale rispetto all’ancor troppo frequente uso dell’“asciutta” formula di consenso. Il velo è memoria del nimbo, della nube di cui Dio è avvolto e segno dell’epiclesi dello Spirito Santo-Amore sugli “amanti”.

La consueta preghiera dei fedeli – presentata secondo il modello esemplare di poche e brevi invocazioni di stampo litanico – si prolunga in una significativa invocazione (litania) dei santi, intercessione di coloro che vissero santamente-fedelmente nel Matrimonio, segno di comunione ecclesiale, di protezione celeste, nonché anticipazione della comunione escatologica cui tende e si proietta la Liturgia cristiana.

Quando è prescritto, si fa la Professione di fede.

 

4. Liturgia eucaristica

Si svolge come di consueto ed è integrata dall’invito agli sposi a portare all’altare i santi doni del pane e del vino, segno della strettissima relazione tra Matrimonio ed Eucaristia.

L’esortazione, all’Offertorio, a raccogliere le offerte per “particolari situazioni di povertà” è l’ennesimo richiamo alla più autentica vocazione dell’offertorium romano, sintesi mirabile tra la caritas e il sacrificium di Cristo – sacramentalmente presente nei santi Doni consacrati – e la caritas e il sacrificium fidelium, esistenzialmente presente nell’offerta di sé e nelle oblate (in senso ampio) per i fratelli più poveri. Le due “offerte” si completano e si fondano reciprocamente. Sarebbe perciò auspicabile che gli sposi proponessero una colletta per i poveri, da presentare all’offertorio delle Nozze.

Il rito del Matrimonio ha il proprio vertice simbolico-teologico nella Comunione degli sposi sotto le due Specie. Con questo gesto essi assumono-assimilano il Corpo e il Sangue di Cristo nell’atto supremo di consegnarsi al mondo per amore. Pertanto, ricevendo come nutrimento l’amore divino di Cristo, ottengono la grazia di diventare essi pure capaci di amore fino al dono supremo di sé.

 

5. Riti di conclusione

Oltre alla benedizione, è questo il momento delle disposizioni concordatarie, lette sempre pubblicamente, e della sottoscrizione dell’atto di Matrimonio, da potersi fare pubblicamente o in sacrestia (mai sull’altare!).

Un congedo, un po’ verboso a dire il vero, conclude la celebrazione, con l’invio “missionario” e il richiamo alla ministerialità sponsale.

Si suggerisce infine la possibilità di donare agli sposi il libro della Sacra Scrittura.

 

Il Rito del Matrimonio nella celebrazione della Parola [di Dio].

La seconda forma si articola in quattro parti.

1. Riti di introduzione: analoghi al primo schema, prevedono una ricca memoria del Battesimo. Chiude un’orazione colletta.

2. Liturgia della Parola: con gli stessi principi del primo schema. Si inaugura con una monizione introduttiva e si chiude con il bacio di venerazione dell’Evangeliario da parte degli sposi.

3. Liturgia del Matrimonio: prevede uno schema celebrativo analogo al primo, anche se più semplice. Si compone di alcune parti per le quali valgono i principi interpretativi già sopra menzionati:

  1. Interrogazioni
  2. Consenso
  3. Benedizione degli anelli
  4. Benedizione nuziale
  5. Preghiera dei fedeli e preghiera del Signore
  6. Interessante l’introduzione della consegna ritualizzata della Bibbia. La celebrazione del Matrimonio ha lì il suo culmine celebrativo rituale. La Parola di Dio diventa il dono più grande ricevuto dagli sposi, in vista dell’impegno a proseguire l’itinerario di fede.

4. Riti di conclusione, che si articolano in:

  1. Benedizione
  2. Disposizioni concordatarie e sottoscrizione dell’atto di Matrimonio

 

L’esercizio della ministerialità

Un carattere che è fondamentale riconoscere nel rito del Matrimonio è la diffusa ministerialità che richiede.

Gli sposi, tramite il patto coniugale che liberamente si scambiano, sono evidentemente i soggetti primi.

Il presbitero (talora il Vescovo o il diacono), esercitando un’azione deprecativa (epicletica) sugli sposi, si pone come il soggetto attivo di una ministerialità deputata a celebrare la forza trasformante dell’agire sacramentale di Dio.

I lettori, ministri dell’annuncio di salvezza dello Sposo divino alla Chiesa, sua diletta Sposa, esercitano un servizio di tipo profetico, manifestando l’epifania della presenza di Cristo nella sua Parola. Un ministero, dunque, che non può essere relegato all’improvvisazione dell’ultimo momento, né ai semplici criteri “di amicizia”.

I cantori, il salmista, i musicisti. È necessario pensare al canto nella Liturgia nuziale come a un “linguaggio della fede celebrata”, appartenente alla natura stessa del rito cristiano, rifuggendo dalla logica della mera solennizzazione e dello sfarzo. I brani da eseguire vanno concordati tra presbitero, sposi, cantori e musicisti, perché siano in profonda unità con il rito nuziale, espressione coerente e consapevole del mistero celebrato.

Di grande problematicità pastorale è la creazione di un repertorio di canti appropriati al rito delle Nozze. Andrebbe assolutamente rivista la prassi di usare canti tratti dalle grandi arie di noti compositori, tradizionalmente approdati al “Matrimonio in chiesa”. L’aspetto problematico di questa consuetudine non riguarda tanto il “genere musicale” dei brani, né il fatto che sia un cantore a eseguirli, quanto piuttosto la modalità con cui ciò avviene. La Liturgia mal sopporta solisti in atteggiamento da palcoscenico. Vuole avvalersi di cantori che, in atteggiamento orante, elevino potentemente gli animi a Dio ed esprimano con il canto la supplica, l’adorazione, la profondità del mistero. L’ambito rituale nel quale intervenire, concordato in anticipo, il loro posto nell’aula liturgica, l’uso del microfono, l’abbigliamento saranno pertanto orientati a tale scopo. È quasi superfluo ricordare come la scelta dei brani debba attingere solo al repertorio strettamente cristiano e sacro. Il canto “romantico” o poetico dell’amore umano non trova collocazione in un’autentica Liturgia cristiana.

Gli accoliti e i ministranti assumono l’ufficio di ministri dell’altare, il cui compito è di affiancare sposi e presbitero per tutte le mansioni, anche pratiche, riguardanti la proprietà dell’allestimento – scevro da ogni barocchismo e cerimoniosità –, la ritualità diffusa (l’incenso, i ceri, la preparazione dell’altare, i libri liturgici…), l’uso dei segni e delle suppellettili fondamentali (l’Evangeliario, i vasi sacri, le corone, il velo, gli anelli, i fiori…), elementi necessari all’espressività simbolico-rituale, pena l’appiattimento sul solo codice verbale. La funzione dei ministranti potrebbe essere anche utile per recuperare nella celebrazione delle Nozze l’uso dello spazio: si pensi alla statio fuori dalla chiesa; alle processioni al fonte battesimale, all’ambone e durante la presentazione dei doni; alla collocazione degli sposi nell’aula liturgica durante la benedizione e le altre preghiere; alla presenza distribuita nello spazio circostante dei ministri ordinati, dei testimoni, dei parenti, della schola cantorum, di eventuali musicisti; alla collocazione non “cerimoniale” di banchi, ceste di fiori, sedili, microfoni, drappi, dettagli certamente marginali ma che, per il loro aspetto funzionale o decorativo, se usati male possono trasformarsi in goffi apparati o ostacoli visivi nell’aula.

 

Alcuni suggerimenti pratici

 

La coronazione e la velazione

I due riti esplicativi facoltativi – la coronazione e la velazione – sono contigui. Dopo il consenso, le persone che ne sono state incaricate portano processionalmente le fedi nuziali, le corone e il velo. Si pongono alla destra del sacerdote, che benedice gli anelli e li dà agli sposi per lo scambio, dopo il quale essi si inginocchiano. Il celebrante, tenendo le corone sul loro capo, pronuncia la formula come da Rito del Matrimonio n. 78, quindi le impone su entrambi.

È possibile che siano i fioristi stessi a realizzarle, con una struttura di fil di ferro molto sottile, rivestito di carta e di piccole foglie verdi o, nel caso della sposa, di roselline e altri fiori adatti (non il velo da sposa, che risulta disordinato). In alternativa, si può scegliere la tipica corona orientale, acquistabile online o in alcuni negozi di articoli religiosi. Ci sono anche siti dove la si può trovare in forma di fascetta: un piccolo circulus, molto elegante, di argento dorato.

Il velo, fatto di stoffa leggera (tendenzialmente il tulle), dev’essere grande, in modo da coprire sposo, sposa e sacerdote: almeno quattro metri per due. Può essere anche – come esemplarmente si fa in Sicilia – abbellito e ricamato. Dal punto di vista pratico, quando viene imposto al termine della solenne benedizione degli sposi, lo si fissa all’acconciatura di lei, o con un pettine già predisposto sul lato corto, qualora voglia lo strascico, oppure sul lato lungo, se preferisce una foggia più sobria.

Sarebbe bene che fosse una donna, per la grazia necessaria in questo frangente, a porgere ai testimoni e ai genitori il velo, che viene aperto e steso mentre quattro persone lo reggono agli angoli. Gli sposi sono in ginocchio e glielo si fa scorrere sopra il capo, in modo che si formi così la huppah. Il sacerdote entra sotto il velo e lì canta – o almeno recita – la solenne preghiera di benedizione. Poi lo sposo si alza e, se lo desidera, si toglie la corona. La sposa resta in ginocchio e, liberato il capo, si fa mettere da un’amica o una testimone il velo, fissandolo sulla pettinatura acconciata, quindi il sacerdote ci rimette sopra la corona. Questo è il momento in cui, mentre la schola fa un canto di esultanza, gli sposi possono salutare i genitori e i testimoni, invece che approfittare dello scambio di pace, che dovrebbe mantenersi sobrio e composto, senza gente che gira per la chiesa raggiungendo parenti e amici.

Alla litania d’intercessione con le invocazioni dei santi segue, se è domenica, il Credo, e infine l’offertorio, con il pane e il vino portati dagli sposi all’altare.

 

I fiori

Non ci sono norme precise da rispettare per quanto riguarda colori e tipologie. Ciò che va evitato è che il fiorista addobbi la chiesa puntando a creare un’ambientazione, con candele sui gradini, lampade, torce, lucerne, vasi, cascate di fiori, petali per terra… Gli organizzatori dei Matrimoni chiedono spesso agli sposi di acquistare il pacchetto completo dei servizi, per cui i fiori per la chiesa vengono poi trasferiti al banchetto nuziale, dimenticando che l’arredo di un luogo sacro ha una vocazione diversa rispetto all’estetica di un centrotavola da banchetto nuziale.

I fiori, nella Liturgia, hanno lo scopo di dare lode a Dio e di ornare le due eminenzialità: altare e ambone (anche il fonte battesimale, se ci si reca lì per fare la memoria del Battesimo). I fioristi non devono esagerare nel riempire il prebiterio di ammassi di piante, che entrano nella logica dell’ambientazione. È preferibile piuttosto un segno floreale lungo i banchi della chiesa.

 

Il sussidio liturgico

Non vanno scaricati da internet. L’ideale sarebbe che ogni prete avesse un file word con l’ossatura fondamentale del rito, e le parti facoltative segnate in rosso, da girare alla coppia.

Il sussidio liturgico (libretto) ha bisogno che si faccia preliminarmente la scelta delle letture; per questo va consegnato agli sposi, all’inizio del corso di preparazione al Matrimonio, il pdf scaricabile della CEI con il Lezionario. Così, nei mesi che precedono la celebrazione, possono leggersi le poco più che ottanta pericopi tra Antico e Nuovo Testamento per scegliere le più adatte, e questo varrebbe per loro da importante itinerario spirituale. Bisogna solo stare attenti a individuare letture conformi ai tempi dell’anno liturgico. Le coppie vanno informate che in Avvento e Quaresima i Matrimoni è fatto divieto di celebrare solennemente le Nozze, in ragione del clima penitenziale, e che, qualora si decidesse per un sabato del Tempo di Pasqua, dopo le 16 è necessario usare letture ed eucologia delle domeniche di Pasqua. Invece, se la celebrazione avviene prima delle 16, si possono scegliere nel Lezionario del Matrimonio tra quelle indicate per il Tempo di Pasqua.

Si eviti di fare libretti a metà, dove manca la parte eucaristica. O c’è tutto, o meglio limitarsi a un foglio con i canti. In copertina sarebbe importante che la dicitura fosse: “Celebrazione eucaristica con il rito del Matrimonio di…” o “Celebrazione della Parola di Dio con il rito del Matrimonio di…”, non “Luca e Francesca sposi” o “Luca e Francesca 2025”, scelte emotivo-affettive improprie. Non stiamo celebrando loro, ma l’Eucaristia e la Parola di Dio; e nel corso della Pasqua del Signore avviene il Matrimonio di Luca e Francesca.

La fattura del libretto sia semplice: basta una spillatura, senza costosi nastri. Le immagini dovrebbero uscire dagli stereotipi, evitando tramonti, fedi incrociate e colombine che si baciano. Piuttosto, si cerchi una raffigurazione di Cristo e Maria, o una fotografia della chiesa parrocchiale, metafora della Chiesa sposa di Cristo e segno del luogo che accoglie la coppia.

 

I canti rituali e la musica

È sempre difficile trovare un’assemblea che canti nel corso dei Matrimoni, per cui un coro (anche di poche persone) risulta molto utile. Si abbia cura che non manchino almeno i canti del Gloria, del Salmo responsoriale, dell’Alleluja, del Santo e dell’Agnello di Dio, in dialogo con l’assemblea per quanto è possibile. Il resto può essere affidato al coro, purché si vietino i brani che non hanno nulla a che fare con la fede.

Si tenga in debito conto l’Appendice musicale che sta nel Rito del Matrimonio 2004 (pp. 131-138), in cui sono presenti i canti rituali del celebrante in dialogo con il coro e l’assemblea. Specie la memoria del Battesimo e la bella benedizione degli sposi (accompagnata possibilmente dalla velazione) in dialogo con la schola e l’assemblea.

 

Le fotografie e i video

Il Diritto canonico prescrive che «nel luogo sacro sia consentito solo quanto serve all’esercizio e alla promozione del culto, della pietà, della religione» (CJC can. 1210). In questa prospettiva, è necessario che l’intervento dei fotografi nel contesto della Liturgia venga concordato con il rettore della chiesa in cui si svolge la celebrazione, che ne è il responsabile (cfr. IGMR 73).

È bene definire in precedenza (non immediatamente prima delle celebrazioni) le modalità esecutive del servizio fotografico, magari identificando una o più postazioni fisse (secondo la configurazione architettonica delle singole chiese) dalle quali fare le riprese. Gli spostamenti necessari devono essere sobri e discreti, evitando attraversamenti del presbiterio.

La Liturgia della Parola e la Preghiera eucaristica impongono un assoluto rispetto e sono momenti in cui non vanno fatti scatti o riprese.

L’uso del flash andrebbe evitato, o almeno ridotto al minimo indispensabile, e se c’è bisogno di accendere o spegnere lampade di elevata intensità, ciò non va fatto in maniera brusca. Si provveda piuttosto a un’illuminazione supplementare dell’ambiente fin dall’inizio della celebrazione.

Si cerchi di assicurare discrezione nei gesti, silenziosità nei movimenti, decoro nell’abbigliamento, garantendo un atteggiamento sempre consono al contesto.

Al termine delle celebrazioni è consentita una maggiore libertà, salvo sempre il rispetto dovuto al luogo sacro.

 

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Adeguamento liturgico

Nel giorno della sua Dedicazione, la chiesa cessa di essere un edificio, una costruzione fatta di pietra, mattoni, cemento, vetro, marmo, per diventare – restando pietra, mattoni, cemento, vetro e marmo – il dito della fede puntato verso una dimora che ci attende tutti: il “posto” che Gesù ci ha preparato, la sua casa, che sarà la nostra casa. Mentre noi siamo pellegrini dentro questa storia, dentro l’esistenza che ci è data (come dice la Scrittura: “settanta, ottanta per i più robusti”…), Dio ha posto il segno visibile della sua presenza in mezzo a noi. Non la chiesa come edificio, ma il Verbo di Dio, Gesù di Nazareth, che, nato dal grembo purissimo della Vergine Maria, con la carne degli uomini cammina insieme ai due discepoli verso Emmaus – cioè cammina insieme a noi.

Il Signore, che ha detto Sarò con voi fino alla fine del mondo, nella sua misericordia senza limiti ha voluto darsi nella storia attraverso i segni di questo cosmo, del mondo che ha creato. Come ha assunto la nostra natura umana, così la sua presenza reale ed efficace ci viene comunicata attraverso il visibile, ma un visibile che reca in sé il mistero invisibile, cosicché ogni domenica le mani di una vecchia signora o di un bambino di dieci anni si tendono e ricevono un frammento di pane, e lì c’è il Signore crocifisso, sepolto e risorto. In un po’ d’acqua, c’è il Giordano nel quale un bimbo entra, è sepolto, muore con Cristo e risorge. In un po’ d’olio, c’è quel fuoco disceso dal cielo, che non brucia con le fiamme devastatrici della terra, ma con l’amore di Dio. Nelle mani di un uomo e di una donna che si stringono, l’unione che si genera è la stessa che Gesù ha voluto sulla croce con la sua Sposa: noi, la Chiesa. È tutto così il Vangelo. È tutta così la rivelazione. È tutto così il cristianesimo. È sublime, perché è tutto assolutamente umano e semplice, ma portando dentro di sé l’immensità di Dio.

Sono così anche il tempio visibile e i suoi elementi fondamentali. Noi chiamiamo l’edificio sacro “chiesa”, che non è una parola architettonica, ma biblica: ekklesìa: l’unione, il convergere, l’assemblea formata da coloro che celebrano l’Eucaristia, ascoltano Dio e obbediscono alla sua volontà, lo amano per amare i fratelli. Per questo la Dedicazione di una chiesa non è banalmente il vescovo che effonde un po’ di acquasanta benaugurale. Egli dedica il tempio visibile, come si scriveva un tempo sulla facciata di tutte le chiese, D. O. M., Deo Optimo Maximo. Chiedendo l’intercessione dei santi o di Maria, le chiese sono sempre dedicate a Dio, in quanto l’edificio è segno di noi che siamo di Dio.

Non si tratta di inaugurare, dunque, ma di togliere alla materia la brutalità e di renderla, poiché creata da Dio, orientata a lui. Il primo fondamentale elemento simbolico da considerare è il fatto che l’edificio sia composto di pietre. Ognuno dei mattoni è figura della comunione dei fedeli, che non risulta da un accordo, da una convenzione, ma nasce all’altare, dove il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue del Signore crocifisso, sepolto e glorificato, e si fanno carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Ecco quale cemento unisce le pietre.

All’inizio del rito della Dedicazione di una chiesa, il vescovo, i presbiteri e tutto il popolo entrano dal portale e il vescovo asperge le pareti della chiesa insieme all’assemblea, per ricordare la grazia battesimale. Il Battesimo è infatti “ianua Ecclesiae” – dicevano i Padri della Chiesa –, “porta della Chiesa”. Per questo, fin dall’antichità, il Battistero veniva edificato fuori dalle Cattedrali. Solo dopo essere stati battezzati i cristiani entravano nell’ekklesìa.

Quando sorsero le prime chiese parrocchiali, i presbiteri collaboratori del vescovo cominciarono a celebrare i sacramenti in sua vece, ma una piccola pieve non poteva avere un Battistero e allora si iniziò ad aprire, vicino alle porte della chiesa, sul lato destro del tempio (echeggiando Ezechiele e le immagini profetiche con cui Dio ci preparava a quell’acqua uscita insieme al sangue dal fianco di Gesù), una piccola cappella con il fonte battesimale. È lì che i bimbi entrano per la porta che è il Battesimo.

Il vescovo raggiunge poi la sede, che dovrebbe sempre essere laterale. Nell’Eucaristia non c’è una scena da dominare o un trono maestoso da occupare. Non c’è nessuna scena, nessun dominio, solo la voce di un ministro che genera la preghiera lanciandola come una freccia verso Dio, perché il centro dell’Eucaristia non sono il vescovo o i presbiteri suoi collaboratori. Essi valgono da piccolo segno, necessario in quanto, resi per grazia sacerdoti di Dio in virtù dell’imposizione delle mani, presentano al Padre l’offerta sacrificale. Ma il centro è il Signore: lui immolato, lui sepolto, lui risorto. I presbiteri e il vescovo devono presiedere la Liturgia e, allo stesso tempo, mandare il cuore, la mente, la fede, gli occhi dei credenti verso il fulcro e il centro: colui che celebra, il Sacerdote vero, Cristo. È lui che si offre. È lui che rende al Padre il sacrificio glorioso e dona il suo Corpo e il suo Sangue, Pane e Calice di salvezza.

Prima della celebrazione della Liturgia della Parola, il vescovo riceve da un lettore il Lezionario, lo mostra al popolo e dice:

Risuoni sempre in questo luogo
la Parola di Dio;
riveli e proclami il mistero di Cristo
e operi nella Chiesa la nostra salvezza.

Poi, come ogni domenica, il lettore, il salmista, e, se presente, il diacono, salgono uno dopo l’altro sull’ambone. Chi legge o canta la Parola del Signore deve infatti stare in alto, in quanto la salvezza viene dall’alto. Le luci dei ceri, i fiori, il profumo dell’incenso avvolgono la pietra dell’ambone, dove c’è un ministro che proclama, come l’angelo all’alba: “Non è qui: è risorto”. Ogni volta che celebriamo la Liturgia della Parola è come se spalancassimo il sepolcro. È come se si generasse una Pasqua e la primavera irrompesse piena di fiori e di profumi. Dall’ambone esce un canto nuovo, un alleluja, una gioia che non è di quelle effimere, ma è lui, il Vivente.

Il rito della Dedicazione di una Chiesa ha il proprio centro nella dedicazione dell’altare. Il vescovo canta assieme all’assemblea le litanie dei santi e poi su quella pietra pronunzia una lunghissima orazione, tra le più solenni che la Chiesa abbia mai composto. Dopo aver dedicato l’altare a Dio, lo si prepara come si faceva nell’antichità. Prima di tutto il vescovo lo unge con il santo Crisma – lo stesso olio che si usa per cresimare, per consacrare i vescovi e impregnare le mani dei presbiteri –, e poi unge le pareti della chiesa, cosicché ogni anno, sulle croci che verranno poste in quei punti, brilleranno nel giorno anniversario delle candele, memoria del momento in cui le pietre sono state unte con l’opera dello Spirito e sono state rese vive, segno dei credenti.

L’altare nudo, spoglio, viene quindi incensato per la prima volta e illuminato con l’accensione delle candele, dopo essere stato vestito del bianco lino, proprio come il sudario aveva avvolto il corpo santissimo del Signore esanime. Così, dove ora è posto il suo corpo sacramentale, c’è una stoffa candida che ricade ai lati fino quasi a lambire la terra, grande come la sindone che Pietro e Giovanni hanno visto nel sepolcro vuoto.

Bisognerebbe provvedere sempre ad assicurare all’altare un’edificazione architettonica proporzionata al suo significato. Non può essere un pezzo di legno mobile, perché il Signore è stato conficcato, appeso alla croce, sulla pietra del Golgota; perché la Chiesa fonda la propria fede – assurda per il mondo – su quella roccia, che è molto strana: dovrebbe significare stabilità, forza, durezza, ma è lì, sul Calvario. La sua è una strana durezza, è una strana forza, è una strana stabilità, in quanto lui è povero, è servo, è trafitto, è morente. E mentre ai piedi di quella roccia la bocca di Satana rideva la sua morte, il sangue sgorgato dal fianco del Signore soffocava l’antico serpente con l’amore. Questo è il duello prodigioso che celebriamo sull’altare.

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Presentazione delle iniziative per la formazione alla Liturgia

 

 

 

«Non si può vietare a qualcuno di aver più gusto per una devozione privata che per la freddezza aspra dell’ufficio della Messa. Ma egli non può dire che la Liturgia è priva di vita, rigida, poiché egli stesso non riesce ancora a padroneggiare con l’animo queste forme ampie e forti».
Romano Guardini, Formazione liturgica

 

Le norme fissate dalla Penitenzieria Apostolica per ottenere l’indulgenza plenaria nel corso del Giubileo 2025 sottolineano l’importanza dell’impegno personale nella formazione. Ascoltare conferenze, seguire corsi di approfondimento, cercare di arricchire la propria sensibilità, porsi obiettivi di crescita culturale, individuare possibili guide per intraprendere un meraviglioso pellegrinaggio nelle regioni dello spirito: ecco alcuni modi per interpretare la vocazione di questo Anno Santo. Camminare con il Signore significa cercare di superare sempre i propri limiti, resistere alla tentazione della stanchezza e dell’essere troppo “indulgenti” con se stessi diventando “tiepidi” nella fede. L’amore per il Risorto è un fuoco. In mille modi san Paolo insiste su come ci abbia catturati e ci avvolga totalmente. E questo fuoco non può non spingerci a voler familiarizzare con la Scrittura per riconoscere in essa la voce dell’Amato, a confrontarci con le sollecitazioni della teologia
e dei maestri della spiritualità che se ne sono fatti interpreti, senza dimenticare quanto è prezioso perfezionare le competenze teoriche e pratiche necessarie a celebrare l’Eucaristia e gli altri sacramenti “con arte” (cfr. Sal 47,7), in modo che ogni uomo possa gustare e vedere com’è buono il Signore (cfr. Sal 33,9).
Il Giubileo della Speranza vuole farsi occasione di promozione del sapere in un momento in cui le Chiese particolari sono chiamate a far maturare i frutti degli anni appena trascorsi, caratterizzati da un vivace confronto, che ha portato talora a ripensare alcune strutture che potrebbero non essere più adeguate a questo tempo. Il nostro Sinodo diocesano ci ha permesso di riscoprire il valore della ministerialità “carismatica” dei laici nella vita della Chiesa e ora c’è bisogno di soffermarsi in un approfondimento e una giusta calibratura delle recenti acquisizioni. Per i “ministeri battesimali” è previsto un percorso diocesano scandito in tappe progressive di discernimento, conoscenza, valutazione, preparazione. Ma accanto alla valorizzazione di questa preziosa forma di impegno dei laici, che tanto bene fanno già alle parrocchie, la Chiesa ne suggerisce anche un’altra. Ci sono alcune figure individuate da Papa Paolo VI, e ora raccomandate da una recente “Nota” della CEI, come aiuti validissimi sia nell’ambito liturgico che della carità e dell’annuncio: il lettore, l’accolito e il catechista istituiti. Per cominciare a prendere confidenza con queste antiche e nuove modalità di servizio laicale, l’Ufficio per la Liturgia propone un ciclo di incontri, concentrati in particolare nel mese di gennaio, che provano a dare un contributo al rinnovarsi della Chiesa di Padova.

Gennaio alla Liturgia 2025 ha il suo cuore nelle quattro serate del venerdì, in cui docenti di teologia e Pastori di notevole esperienza si assumono il compito di illustrare la storia, il senso e la realtà concreta dei ministeri istituiti, e nella mattina di studio di sabato 11 gennaio, appuntamento diocesano organizzato in collaborazione con il vicario per la Pastorale, don Leopoldo Voltan, e i responsabili della Caritas e dell’Ufficio per la Catechesi. Alla presenza del Vescovo Claudio, è prevista una conferenza del Cardinale Roberto Repole su “I ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista nella vita di una Diocesi, che prelude a un lavoro di gruppo da cui trarre una sintesi che possa suggerire alcuni primi passi da compiere in futuro.

Nelle serate di mercoledì, vengono proposte quattro lezioni online per far maturare nel Popolo di Dio la visione ecclesiologica e liturgica presente nei testi del Magistero della Chiesa, dalla Ministeria quaedam (1967) alla Nota ad experimentum della Conferenza Episcopale Italiana: I ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista per le Chiese che sono in Italia (2022).

Il programma offre anche corsi che mirano a dare indicazioni per gestire al meglio gli aspetti pratici del celebrare cristiano. Dopo gli incontri del 2023 dedicati ai sacristi e un approfondimento, nel 2024, sul Battesimo dei bambini e le Esequie, quelli del 2025 hanno per tema Come la parrocchia celebra il Matrimonio. A vent’anni dal Rito del Matrimonio (2004)”. Sono stati pensati per raggiungere, il giovedì sera, varie zone della Diocesi: Solesino, Stra’, Quero, Asiago e, il 6 febbraio, la parrocchia del Sacro Cuore in Padova, e vorrebbero aiutare presbiteri, diaconi, laici, lettori, maestri di coro, fioristi, sacristi ad affrontare la celebrazione del Matrimonio cristiano valorizzandone il rito, la Liturgia della Parola e i suoi lettori, il canto appropriato e l’alternanza coro e assemblea, e curando l’arredo dell’edificio sacro in modo che si illumini di “nobile semplicità”. Queste serate introducono un breve corso in due appuntamenti che partirà, nelle stesse sedi, nel mese di marzo, organizzato in collaborazione con l’Ufficio diocesano di pastorale della Famiglia.

Dato l’interesse riscosso l’anno scorso, vengono riproposte tre mattinate di studio intensivo per le scholæ cantorum, presso la chiesa padovana della Sacra Famiglia, con lezioni ed esercitazioni pratiche a cura dei maestri Alessio Randon e Francesco Cavagna.

Infine, nei pomeriggi di sabato, torna il corso di formazione per i nuovi candidati al Ministero straordinario della Comunione.

Come nelle precedenti edizioni, tutti i partecipanti a questo laborioso “Gennaio” sono invitati a celebrare in Cattedrale il Signore, nostra forza, in occasione dei Vespri delle domeniche e della Messa del 2 febbraio.

Il simbolo che abbiamo scelto per la rassegna è una rosa bianca, reverente omaggio a Romano Guardini, che chiamò così il gruppo di giovani cui insegnava l’arte del servire nella Liturgia il “bel Pastore”.

 

Gianandrea Di Donna
Responsabile

 

 

 

 

 

E attendo che spunti dalla mia anima
la domenica di luce
(Misakh Metzarents)

 

 

 

 

 

 

 

 

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Indulgenza plenaria

 

Non si può comprendere il senso del Giubileo senza contemplare la meraviglia che è l’“indulgenza plenaria”. La sua complessa teologia va interpretata alla luce del sacramento della Penitenza, evitando di cadere in sbrigativi stereotipi polemici. Come cristiani, noi crediamo che al peccato corrisponda, qualora una persona non si converta, una pena eterna, cioè la rottura della comunione con Dio. Ma accanto a essa vi è una pena relativa, o “temporale”, tramite la quale si è chiamati a rimediare nel tempo al male commesso.

C’è un’idea di fondo da tenere presente: il fatto che il nostro peccato produca ineluttabili conseguenze. Pur se si lega a uno specifico evento, il male non si esaurisce entro quei confini e ha delle ricadute sia personali, spirituali, che sociali ed ecclesiali, tanto visibili quanto invisibili. Per tale ragione il sacramento della Penitenza ha una virtù ‘medicinale’ e sana sia l’anima del peccatore che le conseguenze del male compiuto. Il suo rituale si compone di tre elementi: l’accusa del peccato, la penitenza (che si sostanzia di opere di carità, preghiera, servizio, penitenze corporali, astinenza dal cibo, dalla bevanda, dai piaceri della vita), l’assoluzione con cui la Chiesa scioglie il fedele dalla colpa personale. Il perdono è sempre certo, per la grazia di Cristo (è il Signore, infatti, a riconciliarsi con chi è sinceramente pentito), ma l’efficacia del farmaco dipende dall’impegno di chi lo assume, ed è per questo che la perfezione in noi non c’è mai, al punto che continuiamo spesso a ripetere i peccati già commessi, mostrando che la medicina non ci ha guariti pienamente.

A questo esercizio penitenziale il pensiero cristiano ha dato il nome di “pena temporale”. Esso ha conosciuto, nella storia, forme, modalità, intensità diverse. Nel Medioevo, le pene erano severissime, e siccome quella che si riteneva più medicamentosa in assoluto era l’esclusione dalla Comunione, i fedeli, finché non terminavano il lungo esercizio penitenziale e ricevevano l’assoluzione, non potevano comunicarsi. La Chiesa si trova di fronte a un’impasse, perché tutti attendono di finire una penitenza che arriva a protrarsi per decenni e intanto sono esclusi dalla Mensa eucaristica.

Beata indulgenza…

Quando, nel 1300, papa Bonifacio VIII inaugura l’Anno santo e concede l’indulgenza, ha di fronte questo problema. Già prima del Giubileo molti tentavano soluzioni eterodosse. Le persone più abbienti ricorrevano addirittura a una prassi condannata con fermezza dalla Chiesa: pagare un monastero perché i monaci facessero tutte le penitenze al posto dei diretti interessati.

Bonifacio VIII regolamentarizza il sistema. Capisce che un’eccessiva durezza non è più sostenibile e con indulgenza, con maternità, dice: chiunque viene pellegrino a Roma, passa per la Porta santa, si confessa e prega secondo le intenzioni del Santo Padre riceve l’indulgenza plenaria. Essa non è un’amnistia rispetto al peccato, ma la remissione di tutte le penitenze temporali dovute. Secondo la teologia cattolica, perché questo può avvenire? Perché la Chiesa ha un proprio tesoro cui attingere. I meriti della Vergine Maria, degli apostoli, dei martiri, delle anime del Purgatorio, e perfino di chi recita un Rosario in una pieve sperduta: tutta quella santità vi confluisce. Se io mi sono realmente pentito, confessato, comunicato e ho pregato secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, le penitenze che ho fatto male, con poca devozione, con fretta, con un impegno spirituale non adeguato vengono rimesse cogliendo da questo tesoro.

A seguito del Concilio di Trento, nel sacramento della Penitenza è avvenuta l’inversione per cui, dopo che il fedele ha accusato i peccati, il presbitero lo assolve subito e la penitenza è rimandata a dopo, ma così si è persa molta della sua forza medicinale. Per quanto il Rituale affermi che le pene debbano essere congrue, esse oggi si sono, di fatto, affievolite moltissimo, facendo sì che anche il pathos con cui ci protendiamo verso l’indulgenza giubilare sia meno vivo.

L’importante recupero che ci suggerisce l’Anno Santo è la coscienza che, perdonato il peccato, non possiamo non tenere conto che il male compiuto ha comunque delle conseguenze. Le sue tracce non spariscono dopo il perdono, e questo chiede che il nostro vivere colga ogni occasione che provvidenzialmente ci viene donata per illuminarsi di santità.

Gianandrea Di Donna

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Calendario delle celebrazioni 2024-2025

CHIESA DI PADOVA
ANNO DEL SIGNORE 2024-2025
CALENDARIO DELLE CELEBRAZIONI

 

Il nuovo libro Anno del Signore 2024-2025. Guida per le celebrazioni secondo il calendario romano proprio (in vigore dall’1 dicembre, I Domenica di Avvento)  sarà disponibile presso la Libreria San Paolo – Gregoriana di via Vandelli (Piazza Duomo) dal giorno 12 novembre. Come omaggio a una Chiesa sempre più ministeriale, fatta di fedeli che con entusiasmo si mettono a disposizione per aiutare, migliorare, donare, sulla copertina è stato riprodotto un particolare della “lavanda dei piedi” dipinta dal pittore cinquecentesco Giovanni Agostino da Lodi. Il Signore Gesù è in ginocchio, eppure non sta guardando Pietro, che a sua volta ha gli occhi persi nella contemplazione di qualcosa di misteriosamente ulteriore.

Pare di sentire la voce del Maestro: «Capite quello che ho fatto per voi?» (cfr. Gv 13,12b).

Chi sfoglierà questo Calendario troverà a pagina 23 uno spunto per interpretare ciò che l’arte profeticamente coglie. Si tratta ancora del particolare di un quadro, di circa un secolo più tardi. Il pittore fiammingo Abraham Janssens ripropone un catino quasi uguale all’altro, pieno non più di acqua ma del sangue del Signore crocifisso. Si spalanca così davanti a noi l’abissale mistero teologico che sta al di sotto di un gesto apparentemente di umile concretezza, come quello di Gesù che si inginocchia e lava i piedi ai suoi. Perché in quel catino c’è già l’anticipo di tutta la Pasqua del Signore. Non è infatti con l’acqua che Gesù lava i piedi ai discepoli, e in loro a tutta l’umanità, ma con il proprio sangue.

È l’arte a condurci dentro questo abisso di unità teologica, ed è per tale ragione che il libro prova a sostenere la nostra fede con alcune meravigliose interpretazioni che i pittori di ogni epoca (in particolare i medievali, capaci di parlare per simboli) hanno dato del mistero di Dio.

Il Calendario offre tutte le indicazioni liturgico-rituali e pastorali in vista delle celebrazioni dell’Anno del Signore 2024-2025, e riporta l’elenco delle Giornate Mondiali e Nazionali 2025 promulgate dalla Conferenza Episcopale Italiana. Non si è potuto invece menzionare le integrazioni nei libri liturgici relative alle nuove sette memorie dei Santi, in quanto diffuse mentre il volume era già in stampa. Le si trova comunque nella sezione relativa all’Eucaristia (https://liturgia.diocesipadova.it/eucaristia/).

I testi dei nuovi Messale, Lezionario, Orazionale e Liturgia delle Ore Propri sono in attesa dell’approvazione del Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, quindi l’indicazione è ancora quella di tenere presente la versione del 1988, reperibile sul sito (https://liturgia.diocesipadova.it/propriodiocesano/).

 

Rev. Gianandrea Di Donna

Responsabile dell’Ufficio diocesano per la Liturgia

 

 

 

→ Calendario proprio della Chiesa di Padova ←

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Il gruppo liturgico

Il gruppo liturgico
a cura dell’Ufficio diocesano per la Liturgia

 

L’esperienza dei gruppi parrocchiali per la Liturgia ha una storia significativa dal punto di vista ecclesiale. Appena dopo il Concilio Vaticano II, furono le primissime modalità di partecipazione dei fedeli alla vita parrocchiale. La riforma risultava così ‘copernicana’ che i presbiteri stessi sentivano necessario favorire la partecipazione attiva del popolo di Dio anche attraverso il coinvolgimento di più persone nella programmazione e preparazione delle celebrazioni. I gruppi liturgici hanno conosciuto una stagione davvero florida negli anni ‘70/’80, poi la loro energia è andata scemando.

 

Che cos’è un gruppo liturgico?

Il gruppo parrocchiale per la Liturgia è l’espressione pastorale, operativa, dell’idea di Liturgia che il Vaticano II ci affida. Essa viene descritta, al n. 7 della costituzione Sacrosanctum Concilium, come un’“azione di Cristo” che si manifesta attraverso la molteplicità dei ministeri liturgici e la varietà dei segni. Dall’ambone al salmo, dal presbitero agli accoliti, dal diacono al coro, ai musicisti, al commentatore, a chi raccoglie le offerte e a tutte le altre figure ausiliarie, questo articolato operare ha bisogno di una regia e di scelte pastorali sostenute da un robusto pensiero ‘teologico’.

 

Chi dovrebbe farne parte?

Il parroco, il viceparroco, gli altri presbiteri e i consacrati della parrocchia, il diacono, il lettore, l’accolito e il catechista istituiti, alcuni rappresentanti delle cinque tipologie dei ministeri battesimali (annuncio-catechesi, spiritualità-liturgia, carità, gestione economica, coordinamento pastorale), uno o due tra i ministri straordinari della Comunione, un membro del gruppo catechisti, uno dei lettori parrocchiali, uno dei ministranti (posto che non ci siano solo chierichetti bambini, ma anche qualche giovane), il maestro del coro e almeno un musicista (per esempio l’organista), i sacristi, uno tra gli addetti alla pulizia della chiesa, alla cura dei fiori e dell’arredo.

 

Che cadenza dare agli incontri?

Non è necessario che siano tanto frequenti. Si potrebbe programmarne uno prima dell’Avvento e del Tempo di Natale; uno prima della Quaresima e del Tempo di Pasqua; e quattro nel Tempo ordinario, due dopo Natale e due dopo Pentecoste.

 

Qual è il compito del gruppo liturgico?

Dare indicazioni che possano illuminare chi agisce nel rito.

Curare anzitutto la celebrazione dell’Eucaristia, senza dimenticare i Battesimi dei bambini e degli adulti catecumeni, le Esequie, le Nozze, altre celebrazioni straordinarie e la Liturgia delle Ore. Sarebbe bello se si riuscisse a recuperare almeno il canto dei Vespri della domenica, raccomandato dal Concilio Vaticano II.

 

Quali sono i suoi strumenti di lavoro?

Dal punto di vista pratico-operativo, gli strumenti più preziosi per la preparazione delle celebrazioni sono i libri liturgici. Un obiettivo immediato è acquisire familiarità con essi. Gli incontri del primo anno potrebbero essere dedicati appunto alla conoscenza dei libri liturgici e del progetto che la Chiesa ha rispetto all’Eucaristia e alle altre celebrazioni.

L’Ordinamento generale del Messale romano merita di essere letto accuratamente. Il capitolo I è dedicato al dogma e dice cos’è l’Eucaristia. Il capitolo II individua la sua struttura e le ‘parti’ in cui si divide. Il capitolo III precisa quali sono i ministeri liturgici e i compiti del popolo di Dio, facendo capire in che modo e con quale atteggiamento realizzare una sinergia tra le varie forme di servizio. Il capitolo IV descrive le modalità di celebrazione della Messa, i gesti e le azioni da compiere e i compiti di presbitero, diacono, lettore, accolito. Il capitolo V è dedicato allo spazio: altare, suppellettili, ambone, sede, fonte battesimale, il posto dei fedeli, della schola cantorum, la custodia eucaristica, le immagini sacre… Il capitolo VI si concentra sulle suppellettili: pane, vino, vasi sacri, vesti liturgiche, fiori…

Andrebbero studiate con cura le pp. 52-54, con le precisazioni della CEI sulle peculiarità delle celebrazioni in Italia, dove trovano risposte chiare alcune grandi questioni dibattute (per cui spesso ci si rivolge agli Uffici per la Liturgia): quando ci si inginocchia, quando si sta in piedi, come fare la scelta dei canti, e molte altre, passando in rassegna la modalità con cui si deve celebrare la professione di fede, la preghiera universale, la presentazione dei doni, il segno di pace, la preghiera del Signore, la frazione del Pane, la Comunione sotto le due Specie…

È opportuno dedicare una lettura attenta anche alle premesse dei vari Rituali e della Liturgia delle Ore.

 

Chi guida il gruppo liturgico?

Il parroco, almeno negli appuntamenti annuali intorno ai grandi Tempi. Questi potrebbe poi delegare un lettore o un accolito istituiti, o il diacono (se c’è), a presiedere le altre riunioni.

 

Come si situa il gruppo liturgico nella dimensione ecclesiale?

Esso agisce sulla base di scelte di fondo sulla Liturgia fatte dal consiglio pastorale, entro il quale è bene figuri almeno un suo membro. Ha un temperamento ministeriale/artistico, mentre quello del consiglio pastorale è ecclesiale/comunionale. Scendendo nel concreto: non sarà compito del gruppo liturgico decidere gli orari delle celebrazioni del Triduo pasquale, ma curare, per esempio, che il prodigio del salmo responsoriale venga affidato a un cantore-artista.

 

 Quali sono i primi passi da compiere?

Proporre a qualcuno di coloro che abitualmente operano nelle celebrazioni (o sono desiderosi di farlo) di frequentare un corso sulla Liturgia e alcuni degli appuntamenti formativi che l’Ufficio diocesano propone.

Permettere almeno a un membro del coro (o al maestro stesso, o all’organista) di seguire i corsi dell’Istituto diocesano di canto e musica per la Liturgia.

Investire per qualificare le persone è sempre una scelta di lungimiranza, che genera processi virtuosi dai quali possiamo attenderci frutti notevoli a lungo termine.

Bisognerebbe poi che si mettesse mano subito al primo linguaggio ‘epifanico’, che è l’edificio e il suo spazio santo. Due sono i livelli dell’organizzazione di esso: uno teologico, il più alto, che riguarda l’adeguamento liturgico; l’altro che ha a che fare con le suppellettili e l’estetica legata alle diverse occasioni. Il criterio generale, qui, è togliere. Le nostre chiese hanno bisogno di una sapiente sobrietà, quasi un ritorno al Romanico, della “nobile semplicità” di cui parla il Vaticano II.

L’Ufficio per la Liturgia è sempre a disposizione per rispondere a eventuali dubbi e per offrire il massimo supporto.

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