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Adeguamento liturgico

Nel giorno della sua Dedicazione, la chiesa cessa di essere un edificio, una costruzione fatta di pietra, mattoni, cemento, vetro, marmo, per diventare – restando pietra, mattoni, cemento, vetro e marmo – il dito della fede puntato verso una dimora che ci attende tutti: il “posto” che Gesù ci ha preparato, la sua casa, che sarà la nostra casa. Mentre noi siamo pellegrini dentro questa storia, dentro l’esistenza che ci è data (come dice la Scrittura: “settanta, ottanta per i più robusti”…), Dio ha posto il segno visibile della sua presenza in mezzo a noi. Non la chiesa come edificio, ma il Verbo di Dio, Gesù di Nazareth, che, nato dal grembo purissimo della Vergine Maria, con la carne degli uomini cammina insieme ai due discepoli verso Emmaus – cioè cammina insieme a noi.

Il Signore, che ha detto Sarò con voi fino alla fine del mondo, nella sua misericordia senza limiti ha voluto darsi nella storia attraverso i segni di questo cosmo, del mondo che ha creato. Come ha assunto la nostra natura umana, così la sua presenza reale ed efficace ci viene comunicata attraverso il visibile, ma un visibile che reca in sé il mistero invisibile, cosicché ogni domenica le mani di una vecchia signora o di un bambino di dieci anni si tendono e ricevono un frammento di pane, e lì c’è il Signore crocifisso, sepolto e risorto. In un po’ d’acqua, c’è il Giordano nel quale un bimbo entra, è sepolto, muore con Cristo e risorge. In un po’ d’olio, c’è quel fuoco disceso dal cielo, che non brucia con le fiamme devastatrici della terra, ma con l’amore di Dio. Nelle mani di un uomo e di una donna che si stringono, l’unione che si genera è la stessa che Gesù ha voluto sulla croce con la sua Sposa: noi, la Chiesa. È tutto così il Vangelo. È tutta così la rivelazione. È tutto così il cristianesimo. È sublime, perché è tutto assolutamente umano e semplice, ma portando dentro di sé l’immensità di Dio.

Sono così anche il tempio visibile e i suoi elementi fondamentali. Noi chiamiamo l’edificio sacro “chiesa”, che non è una parola architettonica, ma biblica: ekklesìa: l’unione, il convergere, l’assemblea formata da coloro che celebrano l’Eucaristia, ascoltano Dio e obbediscono alla sua volontà, lo amano per amare i fratelli. Per questo la Dedicazione di una chiesa non è banalmente il vescovo che effonde un po’ di acquasanta benaugurale. Egli dedica il tempio visibile, come si scriveva un tempo sulla facciata di tutte le chiese, D. O. M., Deo Optimo Maximo. Chiedendo l’intercessione dei santi o di Maria, le chiese sono sempre dedicate a Dio, in quanto l’edificio è segno di noi che siamo di Dio.

Non si tratta di inaugurare, dunque, ma di togliere alla materia la brutalità e di renderla, poiché creata da Dio, orientata a lui. Il primo fondamentale elemento simbolico da considerare è il fatto che l’edificio sia composto di pietre. Ognuno dei mattoni è figura della comunione dei fedeli, che non risulta da un accordo, da una convenzione, ma nasce all’altare, dove il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue del Signore crocifisso, sepolto e glorificato, e si fanno carne della nostra carne e sangue del nostro sangue. Ecco quale cemento unisce le pietre.

All’inizio del rito della Dedicazione di una chiesa, il vescovo, i presbiteri e tutto il popolo entrano dal portale e il vescovo asperge le pareti della chiesa insieme all’assemblea, per ricordare la grazia battesimale. Il Battesimo è infatti “ianua Ecclesiae” – dicevano i Padri della Chiesa –, “porta della Chiesa”. Per questo, fin dall’antichità, il Battistero veniva edificato fuori dalle Cattedrali. Solo dopo essere stati battezzati i cristiani entravano nell’ekklesìa.

Quando sorsero le prime chiese parrocchiali, i presbiteri collaboratori del vescovo cominciarono a celebrare i sacramenti in sua vece, ma una piccola pieve non poteva avere un Battistero e allora si iniziò ad aprire, vicino alle porte della chiesa, sul lato destro del tempio (echeggiando Ezechiele e le immagini profetiche con cui Dio ci preparava a quell’acqua uscita insieme al sangue dal fianco di Gesù), una piccola cappella con il fonte battesimale. È lì che i bimbi entrano per la porta che è il Battesimo.

Il vescovo raggiunge poi la sede, che dovrebbe sempre essere laterale. Nell’Eucaristia non c’è una scena da dominare o un trono maestoso da occupare. Non c’è nessuna scena, nessun dominio, solo la voce di un ministro che genera la preghiera lanciandola come una freccia verso Dio, perché il centro dell’Eucaristia non sono il vescovo o i presbiteri suoi collaboratori. Essi valgono da piccolo segno, necessario in quanto, resi per grazia sacerdoti di Dio in virtù dell’imposizione delle mani, presentano al Padre l’offerta sacrificale. Ma il centro è il Signore: lui immolato, lui sepolto, lui risorto. I presbiteri e il vescovo devono presiedere la Liturgia e, allo stesso tempo, mandare il cuore, la mente, la fede, gli occhi dei credenti verso il fulcro e il centro: colui che celebra, il Sacerdote vero, Cristo. È lui che si offre. È lui che rende al Padre il sacrificio glorioso e dona il suo Corpo e il suo Sangue, Pane e Calice di salvezza.

Prima della celebrazione della Liturgia della Parola, il vescovo riceve da un lettore il Lezionario, lo mostra al popolo e dice:

Risuoni sempre in questo luogo
la Parola di Dio;
riveli e proclami il mistero di Cristo
e operi nella Chiesa la nostra salvezza.

Poi, come ogni domenica, il lettore, il salmista, e, se presente, il diacono, salgono uno dopo l’altro sull’ambone. Chi legge o canta la Parola del Signore deve infatti stare in alto, in quanto la salvezza viene dall’alto. Le luci dei ceri, i fiori, il profumo dell’incenso avvolgono la pietra dell’ambone, dove c’è un ministro che proclama, come l’angelo all’alba: “Non è qui: è risorto”. Ogni volta che celebriamo la Liturgia della Parola è come se spalancassimo il sepolcro. È come se si generasse una Pasqua e la primavera irrompesse piena di fiori e di profumi. Dall’ambone esce un canto nuovo, un alleluja, una gioia che non è di quelle effimere, ma è lui, il Vivente.

Il rito della Dedicazione di una Chiesa ha il proprio centro nella dedicazione dell’altare. Il vescovo canta assieme all’assemblea le litanie dei santi e poi su quella pietra pronunzia una lunghissima orazione, tra le più solenni che la Chiesa abbia mai composto. Dopo aver dedicato l’altare a Dio, lo si prepara come si faceva nell’antichità. Prima di tutto il vescovo lo unge con il santo Crisma – lo stesso olio che si usa per cresimare, per consacrare i vescovi e impregnare le mani dei presbiteri –, e poi unge le pareti della chiesa, cosicché ogni anno, sulle croci che verranno poste in quei punti, brilleranno nel giorno anniversario delle candele, memoria del momento in cui le pietre sono state unte con l’opera dello Spirito e sono state rese vive, segno dei credenti.

L’altare nudo, spoglio, viene quindi incensato per la prima volta e illuminato con l’accensione delle candele, dopo essere stato vestito del bianco lino, proprio come il sudario aveva avvolto il corpo santissimo del Signore esanime. Così, dove ora è posto il suo corpo sacramentale, c’è una stoffa candida che ricade ai lati fino quasi a lambire la terra, grande come la sindone che Pietro e Giovanni hanno visto nel sepolcro vuoto.

Bisognerebbe provvedere sempre ad assicurare all’altare un’edificazione architettonica proporzionata al suo significato. Non può essere un pezzo di legno mobile, perché il Signore è stato conficcato, appeso alla croce, sulla pietra del Golgota; perché la Chiesa fonda la propria fede – assurda per il mondo – su quella roccia, che è molto strana: dovrebbe significare stabilità, forza, durezza, ma è lì, sul Calvario. La sua è una strana durezza, è una strana forza, è una strana stabilità, in quanto lui è povero, è servo, è trafitto, è morente. E mentre ai piedi di quella roccia la bocca di Satana rideva la sua morte, il sangue sgorgato dal fianco del Signore soffocava l’antico serpente con l’amore. Questo è il duello prodigioso che celebriamo sull’altare.

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Presentazione delle iniziative per la formazione alla Liturgia

 

 

 

«Non si può vietare a qualcuno di aver più gusto per una devozione privata che per la freddezza aspra dell’ufficio della Messa. Ma egli non può dire che la Liturgia è priva di vita, rigida, poiché egli stesso non riesce ancora a padroneggiare con l’animo queste forme ampie e forti».
Romano Guardini, Formazione liturgica

 

Le norme fissate dalla Penitenzieria Apostolica per ottenere l’indulgenza plenaria nel corso del Giubileo 2025 sottolineano l’importanza dell’impegno personale nella formazione. Ascoltare conferenze, seguire corsi di approfondimento, cercare di arricchire la propria sensibilità, porsi obiettivi di crescita culturale, individuare possibili guide per intraprendere un meraviglioso pellegrinaggio nelle regioni dello spirito: ecco alcuni modi per interpretare la vocazione di questo Anno Santo. Camminare con il Signore significa cercare di superare sempre i propri limiti, resistere alla tentazione della stanchezza e dell’essere troppo “indulgenti” con se stessi diventando “tiepidi” nella fede. L’amore per il Risorto è un fuoco. In mille modi san Paolo insiste su come ci abbia catturati e ci avvolga totalmente. E questo fuoco non può non spingerci a voler familiarizzare con la Scrittura per riconoscere in essa la voce dell’Amato, a confrontarci con le sollecitazioni della teologia
e dei maestri della spiritualità che se ne sono fatti interpreti, senza dimenticare quanto è prezioso perfezionare le competenze teoriche e pratiche necessarie a celebrare l’Eucaristia e gli altri sacramenti “con arte” (cfr. Sal 47,7), in modo che ogni uomo possa gustare e vedere com’è buono il Signore (cfr. Sal 33,9).
Il Giubileo della Speranza vuole farsi occasione di promozione del sapere in un momento in cui le Chiese particolari sono chiamate a far maturare i frutti degli anni appena trascorsi, caratterizzati da un vivace confronto, che ha portato talora a ripensare alcune strutture che potrebbero non essere più adeguate a questo tempo. Il nostro Sinodo diocesano ci ha permesso di riscoprire il valore della ministerialità “carismatica” dei laici nella vita della Chiesa e ora c’è bisogno di soffermarsi in un approfondimento e una giusta calibratura delle recenti acquisizioni. Per i “ministeri battesimali” è previsto un percorso diocesano scandito in tappe progressive di discernimento, conoscenza, valutazione, preparazione. Ma accanto alla valorizzazione di questa preziosa forma di impegno dei laici, che tanto bene fanno già alle parrocchie, la Chiesa ne suggerisce anche un’altra. Ci sono alcune figure individuate da Papa Paolo VI, e ora raccomandate da una recente “Nota” della CEI, come aiuti validissimi sia nell’ambito liturgico che della carità e dell’annuncio: il lettore, l’accolito e il catechista istituiti. Per cominciare a prendere confidenza con queste antiche e nuove modalità di servizio laicale, l’Ufficio per la Liturgia propone un ciclo di incontri, concentrati in particolare nel mese di gennaio, che provano a dare un contributo al rinnovarsi della Chiesa di Padova.

Gennaio alla Liturgia 2025 ha il suo cuore nelle quattro serate del venerdì, in cui docenti di teologia e Pastori di notevole esperienza si assumono il compito di illustrare la storia, il senso e la realtà concreta dei ministeri istituiti, e nella mattina di studio di sabato 11 gennaio, appuntamento diocesano organizzato in collaborazione con il vicario per la Pastorale, don Leopoldo Voltan, e i responsabili della Caritas e dell’Ufficio per la Catechesi. Alla presenza del Vescovo Claudio, è prevista una conferenza del Cardinale Roberto Repole su “I ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista nella vita di una Diocesi, che prelude a un lavoro di gruppo da cui trarre una sintesi che possa suggerire alcuni primi passi da compiere in futuro.

Nelle serate di mercoledì, vengono proposte quattro lezioni online per far maturare nel Popolo di Dio la visione ecclesiologica e liturgica presente nei testi del Magistero della Chiesa, dalla Ministeria quaedam (1967) alla Nota ad experimentum della Conferenza Episcopale Italiana: I ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista per le Chiese che sono in Italia (2022).

Il programma offre anche corsi che mirano a dare indicazioni per gestire al meglio gli aspetti pratici del celebrare cristiano. Dopo gli incontri del 2023 dedicati ai sacristi e un approfondimento, nel 2024, sul Battesimo dei bambini e le Esequie, quelli del 2025 hanno per tema Come la parrocchia celebra il Matrimonio. A vent’anni dal Rito del Matrimonio (2004)”. Sono stati pensati per raggiungere, il giovedì sera, varie zone della Diocesi: Solesino, Stra’, Quero, Asiago e, il 6 febbraio, la parrocchia del Sacro Cuore in Padova, e vorrebbero aiutare presbiteri, diaconi, laici, lettori, maestri di coro, fioristi, sacristi ad affrontare la celebrazione del Matrimonio cristiano valorizzandone il rito, la Liturgia della Parola e i suoi lettori, il canto appropriato e l’alternanza coro e assemblea, e curando l’arredo dell’edificio sacro in modo che si illumini di “nobile semplicità”. Queste serate introducono un breve corso in due appuntamenti che partirà, nelle stesse sedi, nel mese di marzo, organizzato in collaborazione con l’Ufficio diocesano di pastorale della Famiglia.

Dato l’interesse riscosso l’anno scorso, vengono riproposte tre mattinate di studio intensivo per le scholæ cantorum, presso la chiesa padovana della Sacra Famiglia, con lezioni ed esercitazioni pratiche a cura dei maestri Alessio Randon e Francesco Cavagna.

Infine, nei pomeriggi di sabato, torna il corso di formazione per i nuovi candidati al Ministero straordinario della Comunione.

Come nelle precedenti edizioni, tutti i partecipanti a questo laborioso “Gennaio” sono invitati a celebrare in Cattedrale il Signore, nostra forza, in occasione dei Vespri delle domeniche e della Messa del 2 febbraio.

Il simbolo che abbiamo scelto per la rassegna è una rosa bianca, reverente omaggio a Romano Guardini, che chiamò così il gruppo di giovani cui insegnava l’arte del servire nella Liturgia il “bel Pastore”.

 

Gianandrea Di Donna
Responsabile

 

 

 

 

 

E attendo che spunti dalla mia anima
la domenica di luce
(Misakh Metzarents)

 

 

 

 

 

 

 

 

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Indulgenza plenaria

 

Non si può comprendere il senso del Giubileo senza contemplare la meraviglia che è l’“indulgenza plenaria”. La sua complessa teologia va interpretata alla luce del sacramento della Penitenza, evitando di cadere in sbrigativi stereotipi polemici. Come cristiani, noi crediamo che al peccato corrisponda, qualora una persona non si converta, una pena eterna, cioè la rottura della comunione con Dio. Ma accanto a essa vi è una pena relativa, o “temporale”, tramite la quale si è chiamati a rimediare nel tempo al male commesso.

C’è un’idea di fondo da tenere presente: il fatto che il nostro peccato produca ineluttabili conseguenze. Pur se si lega a uno specifico evento, il male non si esaurisce entro quei confini e ha delle ricadute sia personali, spirituali, che sociali ed ecclesiali, tanto visibili quanto invisibili. Per tale ragione il sacramento della Penitenza ha una virtù ‘medicinale’ e sana sia l’anima del peccatore che le conseguenze del male compiuto. Il suo rituale si compone di tre elementi: l’accusa del peccato, la penitenza (che si sostanzia di opere di carità, preghiera, servizio, penitenze corporali, astinenza dal cibo, dalla bevanda, dai piaceri della vita), l’assoluzione con cui la Chiesa scioglie il fedele dalla colpa personale. Il perdono è sempre certo, per la grazia di Cristo (è il Signore, infatti, a riconciliarsi con chi è sinceramente pentito), ma l’efficacia del farmaco dipende dall’impegno di chi lo assume, ed è per questo che la perfezione in noi non c’è mai, al punto che continuiamo spesso a ripetere i peccati già commessi, mostrando che la medicina non ci ha guariti pienamente.

A questo esercizio penitenziale il pensiero cristiano ha dato il nome di “pena temporale”. Esso ha conosciuto, nella storia, forme, modalità, intensità diverse. Nel Medioevo, le pene erano severissime, e siccome quella che si riteneva più medicamentosa in assoluto era l’esclusione dalla Comunione, i fedeli, finché non terminavano il lungo esercizio penitenziale e ricevevano l’assoluzione, non potevano comunicarsi. La Chiesa si trova di fronte a un’impasse, perché tutti attendono di finire una penitenza che arriva a protrarsi per decenni e intanto sono esclusi dalla Mensa eucaristica.

Beata indulgenza…

Quando, nel 1300, papa Bonifacio VIII inaugura l’Anno santo e concede l’indulgenza, ha di fronte questo problema. Già prima del Giubileo molti tentavano soluzioni eterodosse. Le persone più abbienti ricorrevano addirittura a una prassi condannata con fermezza dalla Chiesa: pagare un monastero perché i monaci facessero tutte le penitenze al posto dei diretti interessati.

Bonifacio VIII regolamentarizza il sistema. Capisce che un’eccessiva durezza non è più sostenibile e con indulgenza, con maternità, dice: chiunque viene pellegrino a Roma, passa per la Porta santa, si confessa e prega secondo le intenzioni del Santo Padre riceve l’indulgenza plenaria. Essa non è un’amnistia rispetto al peccato, ma la remissione di tutte le penitenze temporali dovute. Secondo la teologia cattolica, perché questo può avvenire? Perché la Chiesa ha un proprio tesoro cui attingere. I meriti della Vergine Maria, degli apostoli, dei martiri, delle anime del Purgatorio, e perfino di chi recita un Rosario in una pieve sperduta: tutta quella santità vi confluisce. Se io mi sono realmente pentito, confessato, comunicato e ho pregato secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, le penitenze che ho fatto male, con poca devozione, con fretta, con un impegno spirituale non adeguato vengono rimesse cogliendo da questo tesoro.

A seguito del Concilio di Trento, nel sacramento della Penitenza è avvenuta l’inversione per cui, dopo che il fedele ha accusato i peccati, il presbitero lo assolve subito e la penitenza è rimandata a dopo, ma così si è persa molta della sua forza medicinale. Per quanto il Rituale affermi che le pene debbano essere congrue, esse oggi si sono, di fatto, affievolite moltissimo, facendo sì che anche il pathos con cui ci protendiamo verso l’indulgenza giubilare sia meno vivo.

L’importante recupero che ci suggerisce l’Anno Santo è la coscienza che, perdonato il peccato, non possiamo non tenere conto che il male compiuto ha comunque delle conseguenze. Le sue tracce non spariscono dopo il perdono, e questo chiede che il nostro vivere colga ogni occasione che provvidenzialmente ci viene donata per illuminarsi di santità.

Gianandrea Di Donna

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Calendario delle celebrazioni 2024-2025

CHIESA DI PADOVA
ANNO DEL SIGNORE 2024-2025
CALENDARIO DELLE CELEBRAZIONI

 

Il nuovo libro Anno del Signore 2024-2025. Guida per le celebrazioni secondo il calendario romano proprio (in vigore dall’1 dicembre, I Domenica di Avvento)  sarà disponibile presso la Libreria San Paolo – Gregoriana di via Vandelli (Piazza Duomo) dal giorno 12 novembre. Come omaggio a una Chiesa sempre più ministeriale, fatta di fedeli che con entusiasmo si mettono a disposizione per aiutare, migliorare, donare, sulla copertina è stato riprodotto un particolare della “lavanda dei piedi” dipinta dal pittore cinquecentesco Giovanni Agostino da Lodi. Il Signore Gesù è in ginocchio, eppure non sta guardando Pietro, che a sua volta ha gli occhi persi nella contemplazione di qualcosa di misteriosamente ulteriore.

Pare di sentire la voce del Maestro: «Capite quello che ho fatto per voi?» (cfr. Gv 13,12b).

Chi sfoglierà questo Calendario troverà a pagina 23 uno spunto per interpretare ciò che l’arte profeticamente coglie. Si tratta ancora del particolare di un quadro, di circa un secolo più tardi. Il pittore fiammingo Abraham Janssens ripropone un catino quasi uguale all’altro, pieno non più di acqua ma del sangue del Signore crocifisso. Si spalanca così davanti a noi l’abissale mistero teologico che sta al di sotto di un gesto apparentemente di umile concretezza, come quello di Gesù che si inginocchia e lava i piedi ai suoi. Perché in quel catino c’è già l’anticipo di tutta la Pasqua del Signore. Non è infatti con l’acqua che Gesù lava i piedi ai discepoli, e in loro a tutta l’umanità, ma con il proprio sangue.

È l’arte a condurci dentro questo abisso di unità teologica, ed è per tale ragione che il libro prova a sostenere la nostra fede con alcune meravigliose interpretazioni che i pittori di ogni epoca (in particolare i medievali, capaci di parlare per simboli) hanno dato del mistero di Dio.

Il Calendario offre tutte le indicazioni liturgico-rituali e pastorali in vista delle celebrazioni dell’Anno del Signore 2024-2025, e riporta l’elenco delle Giornate Mondiali e Nazionali 2025 promulgate dalla Conferenza Episcopale Italiana. Non si è potuto invece menzionare le integrazioni nei libri liturgici relative alle nuove sette memorie dei Santi, in quanto diffuse mentre il volume era già in stampa. Le si trova comunque nella sezione relativa all’Eucaristia (https://liturgia.diocesipadova.it/eucaristia/).

I testi dei nuovi Messale, Lezionario, Orazionale e Liturgia delle Ore Propri sono in attesa dell’approvazione del Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, quindi l’indicazione è ancora quella di tenere presente la versione del 1988, reperibile sul sito (https://liturgia.diocesipadova.it/propriodiocesano/).

 

Rev. Gianandrea Di Donna

Responsabile dell’Ufficio diocesano per la Liturgia

 

 

 

→ Calendario proprio della Chiesa di Padova ←

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Il gruppo liturgico

Il gruppo liturgico
a cura dell’Ufficio diocesano per la Liturgia

 

L’esperienza dei gruppi parrocchiali per la Liturgia ha una storia significativa dal punto di vista ecclesiale. Appena dopo il Concilio Vaticano II, furono le primissime modalità di partecipazione dei fedeli alla vita parrocchiale. La riforma risultava così ‘copernicana’ che i presbiteri stessi sentivano necessario favorire la partecipazione attiva del popolo di Dio anche attraverso il coinvolgimento di più persone nella programmazione e preparazione delle celebrazioni. I gruppi liturgici hanno conosciuto una stagione davvero florida negli anni ‘70/’80, poi la loro energia è andata scemando.

 

Che cos’è un gruppo liturgico?

Il gruppo parrocchiale per la Liturgia è l’espressione pastorale, operativa, dell’idea di Liturgia che il Vaticano II ci affida. Essa viene descritta, al n. 7 della costituzione Sacrosanctum Concilium, come un’“azione di Cristo” che si manifesta attraverso la molteplicità dei ministeri liturgici e la varietà dei segni. Dall’ambone al salmo, dal presbitero agli accoliti, dal diacono al coro, ai musicisti, al commentatore, a chi raccoglie le offerte e a tutte le altre figure ausiliarie, questo articolato operare ha bisogno di una regia e di scelte pastorali sostenute da un robusto pensiero ‘teologico’.

 

Chi dovrebbe farne parte?

Il parroco, il viceparroco, gli altri presbiteri e i consacrati della parrocchia, il diacono, il lettore, l’accolito e il catechista istituiti, alcuni rappresentanti delle cinque tipologie dei ministeri battesimali (annuncio-catechesi, spiritualità-liturgia, carità, gestione economica, coordinamento pastorale), uno o due tra i ministri straordinari della Comunione, un membro del gruppo catechisti, uno dei lettori parrocchiali, uno dei ministranti (posto che non ci siano solo chierichetti bambini, ma anche qualche giovane), il maestro del coro e almeno un musicista (per esempio l’organista), i sacristi, uno tra gli addetti alla pulizia della chiesa, alla cura dei fiori e dell’arredo.

 

Che cadenza dare agli incontri?

Non è necessario che siano tanto frequenti. Si potrebbe programmarne uno prima dell’Avvento e del Tempo di Natale; uno prima della Quaresima e del Tempo di Pasqua; e quattro nel Tempo ordinario, due dopo Natale e due dopo Pentecoste.

 

Qual è il compito del gruppo liturgico?

Dare indicazioni che possano illuminare chi agisce nel rito.

Curare anzitutto la celebrazione dell’Eucaristia, senza dimenticare i Battesimi dei bambini e degli adulti catecumeni, le Esequie, le Nozze, altre celebrazioni straordinarie e la Liturgia delle Ore. Sarebbe bello se si riuscisse a recuperare almeno il canto dei Vespri della domenica, raccomandato dal Concilio Vaticano II.

 

Quali sono i suoi strumenti di lavoro?

Dal punto di vista pratico-operativo, gli strumenti più preziosi per la preparazione delle celebrazioni sono i libri liturgici. Un obiettivo immediato è acquisire familiarità con essi. Gli incontri del primo anno potrebbero essere dedicati appunto alla conoscenza dei libri liturgici e del progetto che la Chiesa ha rispetto all’Eucaristia e alle altre celebrazioni.

L’Ordinamento generale del Messale romano merita di essere letto accuratamente. Il capitolo I è dedicato al dogma e dice cos’è l’Eucaristia. Il capitolo II individua la sua struttura e le ‘parti’ in cui si divide. Il capitolo III precisa quali sono i ministeri liturgici e i compiti del popolo di Dio, facendo capire in che modo e con quale atteggiamento realizzare una sinergia tra le varie forme di servizio. Il capitolo IV descrive le modalità di celebrazione della Messa, i gesti e le azioni da compiere e i compiti di presbitero, diacono, lettore, accolito. Il capitolo V è dedicato allo spazio: altare, suppellettili, ambone, sede, fonte battesimale, il posto dei fedeli, della schola cantorum, la custodia eucaristica, le immagini sacre… Il capitolo VI si concentra sulle suppellettili: pane, vino, vasi sacri, vesti liturgiche, fiori…

Andrebbero studiate con cura le pp. 52-54, con le precisazioni della CEI sulle peculiarità delle celebrazioni in Italia, dove trovano risposte chiare alcune grandi questioni dibattute (per cui spesso ci si rivolge agli Uffici per la Liturgia): quando ci si inginocchia, quando si sta in piedi, come fare la scelta dei canti, e molte altre, passando in rassegna la modalità con cui si deve celebrare la professione di fede, la preghiera universale, la presentazione dei doni, il segno di pace, la preghiera del Signore, la frazione del Pane, la Comunione sotto le due Specie…

È opportuno dedicare una lettura attenta anche alle premesse dei vari Rituali e della Liturgia delle Ore.

 

Chi guida il gruppo liturgico?

Il parroco, almeno negli appuntamenti annuali intorno ai grandi Tempi. Questi potrebbe poi delegare un lettore o un accolito istituiti, o il diacono (se c’è), a presiedere le altre riunioni.

 

Come si situa il gruppo liturgico nella dimensione ecclesiale?

Esso agisce sulla base di scelte di fondo sulla Liturgia fatte dal consiglio pastorale, entro il quale è bene figuri almeno un suo membro. Ha un temperamento ministeriale/artistico, mentre quello del consiglio pastorale è ecclesiale/comunionale. Scendendo nel concreto: non sarà compito del gruppo liturgico decidere gli orari delle celebrazioni del Triduo pasquale, ma curare, per esempio, che il prodigio del salmo responsoriale venga affidato a un cantore-artista.

 

 Quali sono i primi passi da compiere?

Proporre a qualcuno di coloro che abitualmente operano nelle celebrazioni (o sono desiderosi di farlo) di frequentare un corso sulla Liturgia e alcuni degli appuntamenti formativi che l’Ufficio diocesano propone.

Permettere almeno a un membro del coro (o al maestro stesso, o all’organista) di seguire i corsi dell’Istituto diocesano di canto e musica per la Liturgia.

Investire per qualificare le persone è sempre una scelta di lungimiranza, che genera processi virtuosi dai quali possiamo attenderci frutti notevoli a lungo termine.

Bisognerebbe poi che si mettesse mano subito al primo linguaggio ‘epifanico’, che è l’edificio e il suo spazio santo. Due sono i livelli dell’organizzazione di esso: uno teologico, il più alto, che riguarda l’adeguamento liturgico; l’altro che ha a che fare con le suppellettili e l’estetica legata alle diverse occasioni. Il criterio generale, qui, è togliere. Le nostre chiese hanno bisogno di una sapiente sobrietà, quasi un ritorno al Romanico, della “nobile semplicità” di cui parla il Vaticano II.

L’Ufficio per la Liturgia è sempre a disposizione per rispondere a eventuali dubbi e per offrire il massimo supporto.

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