Liturgia, “luogo” di ascolto del Dio che chiama tutti a sé

Dio chiama tutti a sé, «i giovani e le fanciulle, i vecchi insieme ai bambini» (Sal 148,12). Parla al cuore di ogni uomo e donna, lì dove si trova, e desidera la sua felicità e quanto di più bello, buono, grande e nobile si possa pensare. Questo la Chiesa chiama “salvezza”: una vita orientata al Dio che si spera un giorno di guardare faccia a faccia, così come egli è (cfr. 1Gv 3,2).

L’essere umano ha bisogno di vivere questo rapporto in una concretezza adatta alla propria corporeità; infatti Dio ci è venuto incontro nella storia di Israele e, pienamente, nella vita e nell’opera di Gesù di Nazareth, suo Figlio. Ogniqualvolta ci raduniamo per compiere ciò che ci orienta alla salvezza, egli si fa presente, perché ha promesso di essere con noi tutti i giorni sino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). Ecco l’opera della Liturgia, che diviene la via di accesso, la soglia da varcare per arrivare al Padre (cfr. Gv 10,1ss). Ma essa è anche discrimine, distinzione tra le nostre attività quotidiane e ciò che facciamo per rispondere alla chiamata di Dio. Celebrare i misteri della fede è uno “stare fra”: siamo nel mondo e allo stesso tempo siamo “rapiti” e trasportati in una dimensione nella quale i gesti e le parole orchestrano un’azione fuori dal comune e, sotto queste sembianze rituali, significano e manifestano colui che si lascia appena intravedere: Gesù Cristo, che dona la sua vita perché la riceviamo in abbondanza. C’è quindi un’eccedenza di cose e di azioni, di parole e di gesti che segnano la separazione tra l’esistenza ordinaria e il tempo dell’incontro con Dio, anche se il tramite resta la materialità di questo mondo e la nostra carnalità, trasfigurata.

Non è strano vedere come la gioventù, specie nella fascia giovane-adulta, riscopra in modo molto radicale questo bisogno di Dio. Non di rado accade che, quando si fa verità e ci si azzarda a frenare l’inerzia, ci si chieda: dove sto andando? A che scopo? Ed è nella Liturgia che riconosciamo di poterci porre in ascolto del Dio che chiama tutti a sé, più intimo dell’intimo del nostro cuore (cfr. Agostino, Le confessioni III, 6-11).

 

Juan Diego Andrade
Facoltà Teologica del Triveneto (Padova)
laureando in Teologia

condividi su