Fede, dottrina cattolica e poesia

Immediatamente dopo il “miracolo eucaristico di Bolsena” del 1263, Papa Urbano IV incaricò san Tommaso d’Aquino di comporre per la solennità del Corpus Domini alcuni inni eucaristici, tra i quali la sequenza Lauda Sion Salvatorem, la cui sezione più nota è l’Ecce Panis angelorum. Il testo latino unisce fede, retta dottrina cattolica e arte poetica, fino a prendere fuoco quando il Dottore angelico si slancia nella raccomandazione: “Quantum potes, tantum aude:/ quia maior omni laude,/ nec laudare sufficis” (“Quanto puoi, tanto osa, poiché [il Signore] è più grande di ogni lode e non si è mai in grado di lodarlo abbastanza”). Tommaso chiede che impieghiamo tutto l’ardore di cui siamo capaci nel rendere grazie a un Dio che continua a piantare nella nostra carne la Gerusalemme del cielo, la Sion della salvezza, donandoci il suo Corpo sacrificato e glorioso da accogliere nel nostro corpo mortale.

L’Eucaristia splende davanti agli occhi del santo, che desidera liberare tutti i credenti dalla cecità, dall’ignavia, dalla tiepidezza, dalla tentazione di servire due padroni: il Creatore dell’universo e le pretese dell’egoismo. È il momento di rallegrarsi, di esultare nella pienezza della fede, perché la vanità delle vanità cede il passo alla verità: “Vetustatem novitas,/ umbram fugat veritas,/ noctem lux eliminat” (“La novità mette in fuga le cose vecchie, la verità le ombre, la luce elimina la notte”). Finalmente sul volto anziano e amaro di Qohelet, profeta della “sublime ironia della polvere”, può disegnarsi il sorriso del buon raccolto, la meraviglia di una novità proprio nuova.

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