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Tutta la comunità è chiamata ad accompagnare all’altare

È visibile a tutti il cambiamento nel celebrare e vivere il Matrimonio, come pure sono note alcune criticità. Sembra spesso protrarsi un’adolescenza affettiva che ostacola la coppia nell’intendere l’amore come dono gratuito all’altro con una fedeltà durevole nel tempo. Vi è una fragilità di fede che si palesa nella debole adesione al Signore e nella fatica ad aprirsi alla sua volontà senza disgiungerla dalla sapienza della Chiesa. Vi è poi una fragilità ecclesiale, un affievolito senso di Chiesa, tanto che la celebrazione del sacramento del Matrimonio, come pure altri passaggi successivi, non si innestano nella comunità cristiana di origine o di appartenenza.

Eppure vi sono anche esperienze che manifestano una speranza genuina, un impegno generoso e convinto, nelle quali delusioni e limiti sono accolti come chiamata: un’opportunità per una comunione più profonda con il Signore. Sono matrimoni e vite familiari caratterizzati da relazioni motivate dall’amore e dal dono di sé e permeate da dialogo, ascolto, paziente attesa, disponibilità, tenerezza, umiltà. In essi la “vita di coppia è una partecipazione alla feconda opera di Dio, e ciascuno è per l’altro una permanente provocazione dello Spirito” (Francesco, Amoris laetitia 21). Questi matrimoni sono una profezia per la Chiesa e per la società: annunciano che è possibile “il coraggio di far parte del sogno di Dio, il coraggio di sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui, il coraggio di giocarci con Lui questa storia, di costruire un mondo dove nessuno si senta solo” (ibidem).

Come sottolinea papa Francesco in Amoris laetitia, oggi è richiesto “un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al matrimonio” (cf. n. 206), una sorta di “iniziazione al sacramento del Matrimonio” (cf. n. 207). Allo stesso tempo, come indicato nella presentazione (cf. n.9) della nuova edizione del Rito del Matrimonio in Italia, l’“accompagnamento mistagogico” risulta necessario per aiutare le coppie a vivere il proprio ministero “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, tutti i giorni della loro vita”.

 

 Don Silvano Trincanato,

responsabile dell’Ufficio diocesano di pastorale della famiglia

Per comprendere la logica del celebrare

All’interno di Gennaio alla Liturgia 2025, è previsto un ciclo di serate online – mercoledì 15, 22, 29 gennaio e 5 febbraio, alle ore 21 – dedicato alla formazione, in particolare pensando ai ministeri istituiti. Loro compito sarà cogliere la logica di ciò che si vuole realizzare quando si celebrano l’Eucaristia o un Vespro, un Matrimonio o le Esequie, oppure si porta la Comunione ai malati o si prepara la chiesa. Se immaginiamo il lettore come chi può occuparsi della Liturgia delle Ore, ma anche fare il catechista dei catecumeni, animare momenti di preghiera, proporre una lectio divina, sarebbe bene non gli mancassero nozioni di teologia della rivelazione, cristologia (con un’insistenza su Cristo Risorto esegeta delle Scritture), patristica, liturgia (recuperando la dimensione simbolica dell’ambone), ed è necessario che conosca i libri liturgici, dal lezionario alla Liturgia delle Ore.

L’accolito ha come compito il servizio all’altare, ma può diventare un riferimento per il culto eucaristico o i ministri straordinari della Comunione. Se il lettore si concentrerà sull’Antico Testamento, l’accolito trarrà ispirazione dalle lettere del Nuovo, dai testi dei Padri, dalla teologia dei sacramenti e del rito cristiano, e dovrà avere familiarità con il Messale e i rituali. Sarebbe bello che fosse in grado di fare da ponte tra la Messa celebrata nel “polo eucaristico” e le chiese parrocchiali che mancano di un presbitero, portando loro il “fermentum”, il pane appena consacrato, come si faceva nell’antichità. Così una celebrazione del giorno del Signore presieduta, magari, dal catechista istituito avrà il sapore di una profonda comunione ecclesiale.

Il corso è gratuito. Basta inviare una mail a iscrizioniliturgia@diocesipadova.it per ricevere il link.

I ministeri istituiti

Ai ministeri istituiti del lettore, dell’accolito e del catechista sarà dedicato un ciclo di conferenze nell’ambito della rassegna Gennaio alla Liturgia 2025. L’intento non è solo che le si possa comprendere teologicamente, ma che si cominci a intravvedere il modo per situarle nella vita concreta della nostra diocesi.

Queste nuove e “antiche” forme di servizio non appartengono alla categoria dei ministeri ordinati – vescovo, presbitero, diacono – e non sono sovrapponibili ai ministeri battesimali. Dopo un adeguato itinerario di formazione, il lettore, l’accolito e il catechista vengono istituiti dal vescovo, che conferisce loro il mandato. Riconosciutone il carisma, l’idoneità e la preparazione, la Chiesa benedice i suoi figli, celebrando un rito per mezzo del quale essi ricevono un dono di grazia che li renda capaci di svolgere il proprio ‘ufficio’. E qui si aprono molte possibilità di servizio, tra le quali spicca l’aiuto che sapranno dare per la promozione e la cura dei ministeri battesimali.

Lettore e accolito operano nell’ambito del celebrare, ma nemmeno il catechista gli è estraneo. È a lui che si potrebbe domandare di guidare le celebrazioni domenicali nelle comunità che mancano di un presbitero. E tutti e tre non sono che espressioni diverse della diaconia sublime della carità.

È stato papa Paolo VI, con il Motu ProprioMinisteria quaedam” del 1972, a estendere lettorato e accolitato ai laici e non più solo ai candidati al sacramento dell’Ordine. E così, già negli anni Settanta e Ottanta, nel Triveneto, il vescovo di Udine Battisti e il patriarca di Venezia Cé avevano i loro ministri istituiti. Poi i desideri del Vaticano II sono andati smarriti ed è ora papa Francesco a volerli recuperare, aprendo la possibilità dell’istituzione anche alle donne e aggiungendovi la figura del catechista. Nel 2022, la CEI ha diffuso una “Nota” con cui invitava la Chiesa italiana a innestare la questione all’interno dell’itinerario sinodale. I vescovi vedono nel clima di confronto e apertura che si è creato la condizione più favorevole per riscoprire questo importante modo di valorizzare i carismi del popolo di Dio. Ed effettivamente in Italia c’è fermento. A Milano sta partendo un cammino biennale per i ministeri istituiti, tra lezioni online, incontri ed esperienze pratiche. A Torino è stato predisposto un itinerario curato dall’Istituto interdiocesano di formazione “Percorsi”, concentrato in tre weekend intensivi nel corso dell’anno. Ogni diocesi ha la facoltà di delineare un proprio specifico progetto.

Sarebbe un errore intendere i ministeri istituiti come un’oligarchia di potere, quasi si trattasse del lettore, del catechista e del chierichetto ‘di lusso’. Reintegrarli nella vita della Chiesa è un po’ riportarla al clima fervido dell’era subapostolica, quando la guida dello Spirito Santo ha chiamato al servizio del divino Maestro nobili e gente semplice, analfabeti e filosofi, uomini e donne di ogni popolo, lingua e nazione.

Lettori e accoliti istituiti daranno un contributo prezioso perché le celebrazioni tornino a essere un impegno entusiasmante, la loro bellezza un obiettivo da porsi ogni settimana; perché si pensi all’Eucaristia domenicale con il desiderio di farne, per quanto possibile, un capolavoro, una sinfonia di segni che dicano amore a Dio e ai fratelli, luce, saldezza, adorazione, verità. Non sempre i mezzi sono tanti, ma l’amore supera i limiti, inventa volentieri risorse dove ci sarebbe solo disincanto.

Persone che valgano da riferimento per le loro competenze e la grande disponibilità dovranno ricercare la collaborazione delle più varie figure a servizio del rito, dal sacrestano ai cantori, agli addetti alla cura delle vesti liturgiche. Anche l’accoglienza alla porta dei fedeli o l’uso dello spazio sacro è teologia, e se è teologia è sana azione pastorale, e se è sana azione pastorale promuove la partecipazione attiva dei fedeli, alimenta la fede, conduce alla carità.

Anna Valerio

Il matrimonio celebrato in parrocchia

È innegabile che stiamo assistendo ad una crisi del sacramento del Matrimonio, dovuta alla debolezza della fede, alla paura di impegnarsi, alla promiscuità della vita. In un mondo che propone la convivenza come stile di vita, i fidanzati cristiani devono essere aiutati a scoprire la vocazione a quel sacramento che li rende simbolo dell’unione di Cristo con la Chiesa, testimoni di un oltre che li supera. Attraverso la nuova edizione del Rito del Matrimonio, si può sviluppare una catechesi che favorisca la comprensione della propria identità cristiana e aiuti a celebrare le nozze con consapevolezza, svincolandole dalle banalità che le impoveriscono.

Per questo, nell’ambito delle varie proposte di “Gennaio alla Liturgia” del 2025, si darà inizio ad un breve corso dal titolo “Servire la Liturgia: come la parrocchia celebra il Matrimonio. A vent’anni dal Rito del Matrimonio”, con il quale si vogliono aiutare presbiteri, diaconi, laici, lettori, maestri di coro, fioristi, sacristi a pensare la celebrazione del Matrimonio cristiano attraverso la conoscenza del Rito. Questo aiuterà a sviluppare esemplificazioni pratiche per scegliere le parti adatte alla celebrazione, a seconda delle situazioni: la Liturgia della Parola e i suoi lettori; il canto appropriato e l’alternanza coro e assemblea; l’arredo e la nobile semplicità. Il corso è proposto, con un primo incontro introduttivo, nelle chiese delle seguenti parrocchie: Solesino, giovedì 9 gennaio; Stra, giovedì 16 gennaio; Quero, giovedì 23 gennaio; Asiago giovedì 30 gennaio; Sacro Cuore in Padova, giovedì 6 febbraio 2025. Gli altri due incontri si terranno, nelle stesse sedi, ad aprile 2025.

Elide Siviero

Il fine del canto sacro è generare un atto rituale

Il fine del canto sacro non è di aggiungere alla lettura del testo della Messa orpelli estetici, ma di generare un atto rituale. Il mistero della voce dell’uomo, strumento sonoro principe della Liturgia, può suscitare vibrazioni, palpiti, oscillazioni, quasi un’onda, una scossa… al nostro cuore perché tra i santi segni intravveda Cristo, il crocifisso risorto. La processione d’ingresso diventa così l’irruzione del Risorto tra i suoi (la Chiesa); il segno di Croce si libera della gestualità devozionale; il Kyrie è struggente grido che chiede a Dio vicinanza e misericordia; il Gloria si fa lode fragorosa; il salmo responsoriale si imprime nei cuori come un’umanissima, lirica profezia della fede; il canto al Vangelo accoglie con l’entusiasmo di Maddalena il Signore Gesù dolcissimo e vivo; il prefazio e il Sanctusuniscono le nostre piccole voci al grande canto degli angeli e dei santi che vedono il volto di Dio e lo chiamano tre-volte-Santo; il canto del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia si libera dal rischio della “narrazione sacra” ed evoca il mistero dell’agire del Signore; il canto della dossologia dà alla preghiera che va verso il cielo un sigillo di gloria per quanto abbiamo chiesto e ricevuto nell’Anafora; l’Agnus Dei allude al sangue versato di Cristo, che sgorga dallo spezzare il Pane celeste; la comunione eucaristica dilata il silenzio con una pacatezza che nutre l’anima.

È una luce gloriosa che trafigge le parole che usiamo nella celebrazione perché inizino a vibrare “dall’alto” (cfr. Gv 3,3), una trasfigurazione difficile a dirsi, ma percepibile immediatamente quando, nell’aula, il Vescovo, il presbitero o il diacono cantano dialogando con l’assemblea; quando il salmista canta con l’assemblea; quando la schola cantorum canta con l’assemblea; quando il silenzio canta con l’assemblea. Il canto sacro deve tornare allora a essere soprattutto quello dei dialoghi rituali – ahimè dimenticati –, come il saluto liturgico, il dialogo al Vangelo, al prefazio, la benedizione e il congedo.

Gianandrea Di Donna


Cura della formazione musicale

L’Istituto diocesano di canto e musica per la Liturgia – San Pio X apre le sue porte per un Open day il 12 ottobre, dalle 10 alle 12 e dalle 14.30 alle 16. La scuola della Chiesa di Padova, che cura la formazione musicale di presbiteri, diaconi e laici, ha sede in centro città, nei locali della casa canonica di Sant’Andrea. La sua proposta più strutturata è quella di un programma scandito su tre anni, con il conseguimento di un diploma finale. Ma se qui si può puntare a diventare musicisti o cantori, salmisti o direttori di coro a servizio delle celebrazioni, c’è spazio anche per chi desidera semplicemente studiare il pianoforte oppure l’organo, la tecnica vocale, la storia della musica, il canto gregoriano. Ed è una possibilità estesa a tutte le età. È stato avviato da qualche stagione un corso per Pueri cantores, rivolto ai bambini dai 6 agli 11 anni, dove in un clima di grande naturalezza i piccoli imparano a cantare dalle antifone mariane all’Ave verum, a Veni creator Spiritus. Riserva di speranza e prova di quanto il giogo evangelico possa essere soave.

Non mancano corsi brevi e stage, dedicati al canto del celebrante o del preconio pasquale o della gemma che è in ogni messa il salmo responsoriale, e vengono proposte anche esercitazioni pratiche per cori parrocchiali. Tutti i docenti hanno competenze scientifiche che si uniscono alla sensibilità di chi da anni è al servizio del celebrare cristiano.

Per informazioni si può contattare la segretaria Fiorenza Moschin al 349/5733543, o il vicedirettore M° Francesco Cavagna al 3337855822. Oppure scrivere una mail a: istitutomusicaliturgia@diocesipadova.it.


Che i piccoli cantino

Dopo il Sinodo diocesano, molta energia andrà impiegata per la formazione dei laici che si porranno a servizio della Chiesa nella modalità dei ministeri battesimali (senza escludere, in un futuro prossimo, quelli istituiti), e la musica sacra è tra gli ambiti che chiedono di essere presi in considerazione più sistematicamente. In Italia ci si deve confrontare con una situazione problematica. “I bambini non hanno un’adeguata familiarità con la musica”, osserva don Vincenzo De Gregorio, che per trentun anni è stato direttore di conservatori e ha incontrato migliaia di studenti, fino a ricoprire l’incarico, a Roma, di preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra. “Nei paesi germanofoni, la tradizione del canto è cifra comune. In Italia, invece, i piccoli crescono senza avere la minima esperienza del cantare in coro o di cosa sia il sound di un’orchestra. Claudio Abbado, Riccardo Muti, ritenendo la Chiesa cattolica colpevole di aver dilapidato i suoi tesori, sbagliavano bersaglio. Il primo problema è l’educazione del cittadino italiano, che diventa adulto senza conoscere nemmeno i rudimenti della musica. E così anche il nostro clero accusa gravi deficit a causa di una pedagogia scolastica carente.”

Don Vincenzo non pensa la Chiesa ex cathedra. Se la ritrova intorno nel caldo Duomo di San Gennaro a Napoli, dove suona l’organo ogni domenica. Qui ascolta la voce del popolo di Dio, sempre meno musicale, mentre immagina alcuni tentativi da intraprendere. “Come offriamo ai ragazzi, sulla traccia del catechismo nazionale, itinerari di formazione ai sacramenti dell’Iniziazione cristiana, non dovremmo far mancare una pedagogia affidata in modo significativo alla musica. È necessario predisporre per loro un repertorio condiviso di canti, con un’attenzione soprattutto per i salmi.”

Con quel “per loro”, don Vincenzo non pensa a canzoncine di intonazione infantile. “Ai bambini della prima comunione non ho mai avuto remore a insegnare la messa in gregoriano, che in particolare nelle composizioni più antiche ha melodie facilissime. Ai piccoli si possono proporre alcuni brani tradizionali e i canti dell’ordinario della messa: il Santo, l’Agnello di Dio, un Gloria, i Kyrie più semplici. E poi le antifone mariane, gli inni allo Spirito Santo, qualche versetto salmodico. Poche cose, ma che le imparino tutti.”

I canti di Davide sono la grande risorsa da riscoprire. “Basta mettere insieme dieci salmi, non di più, perché i bambini possano cantare all’unisono da un punto all’altro dell’Italia. Le parole dei salmi abbracciano l’intero percorso della vita, dalla nascita alla morte. Sono adeguati a un’opera penitenziale, a chiedere perdono, ad accompagnare un defunto, a esaltare lo splendore dell’uomo, a consolare…”

Il rischio – don Vincenzo lo ha ben presente – è che in simili operazioni manchi la compattezza ‘ecclesiale’. “Sono iniziative che vanno orientate in primis a generare una comunione che si è persa nel momento in cui si è voluto dare spazio a una creatività senza barriere, per cui chiunque poteva inventarsi compositore di musica sacra. Mentre la Conferenza episcopale francese chiede che un canto da eseguire in chiesa passi per il filtro di una commissione, in Italia questo non è mai accaduto. E così ognuno ha potuto creare, dire, suonare e cantare quello che voleva. Lo vediamo in maniera eclatante nel caso dei cosiddetti ‘movimenti’.”

Un rimedio contro la dispersione delle energie sarebbe la cura dell’esemplarità, ma il contesto attuale non la favorisce. “Oggi i giovani in formazione nei seminari non hanno più l’esperienza della Settimana Santa vissuta nelle cattedrali, il modello della grande musica per le celebrazioni del Triduo pasquale. Vanno nelle parrocchie, giustamente, a fare esperienza, ma bisogna tenere conto che, così, l’esemplarità viene meno e ognuno poi si mette a fare quello che vuole.” Un tempo, invece, il canto creava un’immediata armonia. T’adoriam, ostia divina era l’inno eucaristico di tutti, perché tutti in Italia lo conoscevano. E lo stesso valeva per numerosi canti della devozione popolare, mariani o dei santi patroni. Sarebbe bene offrire ancora questo stile di comunione.” Don Vincenzo suggerisce allora di “attingere alla tradizione come alla devozione, o pensare anche a un bando, per arrivare a mettere definitivamente a punto un repertorio di canti comune a tutta Italia.”

Anna Valerio


Tutto il bello di animare la liturgia

La prima edizione della rassegna “Cori Parrocchiali Patavini”, tenutasi presso la Chiesa del SS. Salvatore a Camin, ha coinvolto undici cori parrocchiali della città di Padova e di alcune parrocchie vicine ed è stata un’occasione per notare quanti sono gli appassionati volontari che prestano servizio nella Liturgia. In media ogni coro era composto da venticinque/trenta elementi: in totale circa trecentocinquanta persone (tra cui parecchi giovani), che si sentono coinvolte nel rendere belle e partecipate le celebrazioni, dando nel concreto un esempio di splendida “ministerialità” laicale.

Imparare a cantare armoniosamente significa prima di tutto sapersi ascoltare l’un l’altro. Il coro, quindi, come l’orchestra, è espressione della dinamica più sana su cui può fondarsi la società: la conoscenza e il rispetto del prossimo, attraverso l’ascolto reciproco e la generosità nel mettere le proprie risorse migliori al servizio degli altri.

Straordinaria, nel corso dei tre giorni, è stata la varietà e la ricchezza dei canti e delle modalità di animazione delle Liturgie, anche se si corre il rischio che un’eccessiva varietà di autori e melodie si disperda in mille forme, piacevoli e accattivanti, ma non in grado di fare storia. Molti brani hanno un successo effimero e non durano più di una stagione.

Le nostre Liturgie normalmente partono con un canto d’inizio e terminano con un canto d’invio, celebrando una Parola e una Presenza che ci spinge quasi a vivere melodiosamente… Non è raro che io mi ritrovi, insieme ai coristi, a canticchiare anche fuori dalle celebrazioni motivi di canti liturgici, tanto certe musiche hanno la forza di plasmare la nostra stessa vita.

Don Ezio Sinigaglia


Sono risorto, o Padre, e sono sempre con te. Alleluia.

Celebrando l’eucaristia, noi siamo al Calvario, al sepolcro, al profumo delle mirrofore, alle prime luci dell’alba – in senso sacramentale.

 

Tre giorni. Che sono uno. Che non sono giorni. Che non sono tempo. Che non sono spazio. Rivestiti di tempo e di spazio. Ogni istante della storia ha ricevuto nel Verbo incarnato, crocifisso, sepolto e risorto il suo punto di compimento: è stato calamitato, assunto, raccolto, sollevato, preso in braccio dalla madre, come un bimbo.

Cammini in una campagna a undici chilometri da Gerusalemme, nel primo secolo, e cosa vedi? Sterpaglia e caprette. E cammini. E commenti quello che è successo. E mentre vai a casa a cena, un’onda altissima ti spazza via, ti sconquassa. Quell’onda ha la barba e gli occhi e le mani e la voce. Un uomo, come te. Non è facile tentare di percepire la relazione del molteplice con l’Uno, mettere insieme il viottolo di Emmaus e il cuore che brucia.

Questo fa la liturgia. È tutta umana e tutta divina. È tutta simbolo e tutta eschaton (il fine del tempo, ciò per cui sono stati voluti e pensati i giorni dell’uomo). È un oceano che non uccide, non schiaccia, non soverchia.

Pagina 170 del Messale Romano. Cosa succede, durante la Veglia pasquale, quando hai in mano lo stilo e incidi il cero bianco e lo chiami “Alfa e Omega” e ficchi i grani di incenso nella cera, come i chiodi della croce? Stiamo celebrando l’irruzione dell’eschaton nel tempo. Nei segni santi della nostra fede, si realizza l’epifania della ricapitolazione in Cristo di tutte le cose, il mistero pasquale dell’offerta di se stesso del Figlio di Dio, che ha portato la vita divina dentro la storia e, offrendola una volta per tutte, l’ha resa vita del mondo: ciò per cui il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo ci hanno pensati prima della creazione. L’onda dell’oceano, fattasi bambino, entra nello spazio e nel tempo per strappare la nostra carne alla caducità e condurla alla gloria della risurrezione, nel cuore di Dio stesso, nel suo compimento. Questo è il disegno divino, prima dei secoli – come si canta, ai Vespri, con gli inni delle lettere di Paolo agli Efesini e ai Colossesi. Da Adamo all’Arcangelo Michele, che suonerà la tromba nell’ultimo giorno, ogni istante va, corre, è innestato nella Pasqua. Per questa ragione il Signore è il soggetto primo dell’agire liturgico. Celebrando l’eucaristia, noi siamo al Calvario, al sepolcro, al profumo delle mirrofore, alle prime luci dell’alba – non in senso scenografico, misticoide, pietistico, spirituale, ma sacramentale. Tutto ciò che precede Cristo e segue Cristo si sta precipitando verso la pienezza, che è la Pasqua. La cosa più stupida per un credente sarebbe fare dell’incarnazione del Verbo lo spartiacque della storia.

La Pasqua – basta leggere la teologia patristica della creazione – non è un rimedio. Il Risorto è il “primogenito dei risorti”, cioè è ‘genito’ come Risorto. Non è un prodotto apologetico contro Pilato, Anna e Caifa e il Sinedrio, da cui le trombe di Haendel, che sembrano voler dire: aveva ragione Gesù. Lui è il primogenito perché la risurrezione è nel cuore di Dio ab aeterno. Lo si intuisce ascoltando l’antifona del mattino di Pasqua, Resurrexi. “Sono risorto”. Non: “è risorto”. È il Figlio che parla. Non è la Chiesa che annuncia: aveva ragione, alleluia.

 “Sono risorto, o Padre, e sono sempre con te. Alleluia. Hai posto su di me la tua mano. Alleluia. È stupenda per me la tua saggezza. Alleluia, alleluia.”

La vita delle Persone divine non è un forziere. Non è una prerogativa. Non è l’onnipotenza di Giove. Non è la trascendenza del Motore immobile. È il movimento con il quale la vita divina crea il mondo; ma lo abita, creandolo. In tutte le religioni esiste un principio di creazione, però tra la creazione e il creatore non c’è relazione. È proprio il limite, lo spazio tra il creatore e la creatura, l’affermazione di quella religione. Infatti una divinità distaccata, nella sua trascendenza assoluta, può imporre obblighi morali da rispettare. Invece i precetti del Signore “fanno gioire il cuore”: sono cioè vita della creatura. Non sono il limite. Abbiamo già il traghettatore, che è Dio stesso.

L’eucaristia è lui, il Regno di Dio è lui. È vicino, davanti ai nostri occhi. E questa pienezza è ciò verso cui tutto tende; ogni carne, ogni secondo, ogni parola, ogni peccato, ogni amore, ogni malattia. Tutto, reso uno, in Cristo.

Gianandrea Di Donna